mercoledì 29 febbraio 2012

À Rebours – CONTROCORRENTE | A Milano la mostra fotografica di Angela Loveday ed il suo personale decadentismo estetico-romantico

Dal 20 marzo al 20 aprile 2012, presso gli spazi della mc2gallery contemporary art di Milano, in Viale Col di Lana n.8,  si terrà la mostra fotografica “À Rebours – CONTROCORRENTE” dell’artista Angela Loveday, a cura di Claudio Composti. Testo in mostra di Emanuele Beluffi.
Nonostante sia una giovane artista, classe 1984, la sua cultura e il suo interesse per le letture esoterico-filosofiche l’hanno influenzata nella cifra stilistica della sua fotografia. Ne è prova il titolo della mostra, che prende spunto da quella che possiamo definire la bibbia del decandentismo, scritta nel 1884 da Joris Karl Huysmans: “Controcorrente”. 
Questa selezione di opere, all'interno della mia ricerca - sottolinea Angela - si configura con un percorso a ritroso; uno studio atto a recuperare un' estetica (intesa come capacità di sentire, di percepire il mondo) che, a mio avviso, è andata scomparendo nel corso dei secoli. Il mio processo creativo inizia sempre dall' Anschauung, ovvero dall'intuizione romantica nel cui cuore possiamo ritrovare il grande tema metafisico zimmeliano: l'idea della realtà come processo di finitizzazione dell'infinito.
Quello di Angela Loveday è un lavoro che non si limita all’estetica barocca, “neo-decadente”. 
Così come la decadenza proponeva un'identità tra l'io e il mondo, la neo-decadenza recupera l'idea, o meglio, la sensazione - continua Angela - che ci sia una rete profonda che unisce l'identità e il mondo al di là degli stati superficiali della realtà, in una zona in cui l'identità scompare e si fonde con il tutto. Tale immagine diviene inevitabilmente oscura, accessibile a pochi iniziati".
Il linguaggio poetico (visivo, semantico) diventa vago, indefinito, capace di evocare e suggerire realtà profonde e misteriose, mondi paralleli in cui le zone di luce e ombra, necessarie le une alle altre per esistere, si confondono e ci confondono i sensi, attraendoci in queste storie che sembrano sospese e perdurare da tempi immemori nella nostra memoria e forse oltre la nostra stessa capacità di ricordare. 

VERNISSAGE Martedì 20 Marzo ore 18:00



A PROPOSITO DI ANGELA LOVEDAY. ODIERNISSIME CONSIDERAZIONI SULLA COSTRUZIONE FANTASMATICA DELLA REALTA’

di Emanuele Beluffi


L’estetica décadent è una considerazione inattuale, dunque supercontemporanea: non mira al successo immediato e alla conquista dell'attualità, ma enuncia tesi contrastanti coi valori dominanti, delineando un presente diverso e anticipando un futuro alternativo. Friedrich Nietzsche, con Arthur Schopenhauer suo educatore e il tipo ontologico del dandy, incarnano massimamente questo problema della decadenza. “Problema”, perché i Greci ce l’insegnano: πρόβλημα (próblēma) significa "ostacolo" e deriva dal verbo προβάλλω (probállō), ovverossia "mettere davanti”. L’attitudine décadent nel suo valore preconizzante è dunque un vero e proprio próblēma.
Ho sempre detto che l’artista non è un intellettuale: nel migliore dei casi è uno che si distingue per un approccio al contemporaneo inconfondibile e dirompente, forte di un legame diretto con il presente e una visione artistica nuova e interessante. Può essere in grado di attribuire alle esperienze di ogni giorno un’insospettata dimensione filosofica, politica, socio-critica e svegliarci dal sonno della ragione (eppure non scorderò mai l’apoftegma di Gino de Dominicis: «il sonno della ragione genera mostrE»), ma la sua prestanza è soprattutto operativa piuttosto che eminentemente cognitiva. A ciascuno il suo mestiere.
Lungi dal prefigurarmi l’iconografia passatista e ingenua dell’artista con le pezze al culo che ebbro d’ispirazione genera il capolavoro incompreso, penso d’altro canto che egli sia in certo senso una sentina del contemporaneo: un interprete che, con un occhio preliminare sul mondo, lo getta un po’ più in là - l’occhio, non il mondo -, andando a ritroso rispetto all’interpretazione corrente ed enunciando sovente tesi inattuali in virtù del mezzo espressivo con cui gli è dato d’esprimersi, il linguaggio visuale.
Tetràgona al vivere inimitabile, la produzione di Angela Loveday s’incanala precisamente nella vexata quaestio della decadenza, lo stato di cose in cui il linguaggio dell’arte si ritira dal tempo d’appartenenza, imitando - a ritroso! - quel Jean Floresses Des Esseintes che nel celebre roman décadent À rebours (Controcorrente, appunto) di Joris Karl Huysmans si congeda dal mondo in morbosa solitudine, riaffermando se stesso attraverso una ragione autofondantesi che va al contrario rispetto ai valori dominanti, come l’anacoreta di Nietzsche in Così parlò Zarathustra.
“Fantasma” deriva dal greco phantásma, termine che denota non solo lo spettro inanimato di un ente naturale  ma anche l’immagine (da phantázein,"apparire") che, fenomenicamente, dà conto del mondo esterno. Ma se, come afferma Schopenhauer, il mondo è una mia rappresentazione e se, come rimarca Nietzsche via Schopenhauer, «il mondo vero divenne favola», allora la soggettività si erge come la funzione essenziale del conoscere: il mondo là fuori è, in sé, nulla, perché solo la soggettività è termine di conoscenza,  che si risolve nella creazione del suo stesso oggetto. In questo senso il soggetto conoscente è in tutto per tutto il soggetto creatore, funzione essenziale del conoscere e viatico al nichilismo, il cui portato è naturalmente intimamente connesso con la questione della decadence: se infatti il mondo della comprensione dell’altro - arte, scienza, mondo, Dio -  poggia su una ragione autofondantesi, allora questo “altro” è fantasma. Il mondo è un’immaginazione. Del resto, “immaginazione”, in tedesco, significa proprio “capacità di costruire”: il mondo è mia costruzione.
Quello di Angela Loveday è un esempio di stage photography declinata secondo una sensibilità décadent, dove gli allestimenti scenografici, personalmente selezionati e costruiti a livello sia macro che micro – il soggetto, lo sfondo, gli addenda e i paraphernalia scenici – rievocano per suggestione l’eremitaggio di Des Esseintes nella villa lontana dai clangori del mondo e il suo “ritaglio” personale di realtà contraddistinto dalla cura meticolosa di ogni aspetto del rifugio esteriore/interiore. I personaggi di Angela Loveday sono fantasmi, come fantasmatica è la realtà del mondo esterno, se si accetta il postulato irrazionale che fa cadere la conoscenza obiettiva sotto i colpi dell’interpretazione (Friedrich Nietzsche: «non ci sono fatti, solo interpretazioni», seconda delle Considerazioni inattuali).

In un mondo possibile Angela Loveday sarà l’autrice di un testo di filosofia oppure non lo sarà affatto, sarà l’incarnazione femminina di un Jean Floresses Des Esseintes oppure no. Ma certamente attraverso la sua produzione si rispecchia, rinnovata, quell’attitudine décadent in cui il rifugio interiore, l’accentuazione della dimensione soggettiva vs quella oggettiva, il distacco dal mondo dell’esperienza e la manifestazione dell’irrazionale e del reazionario si interconnettono a denotare quel “guardare indietro” tipico di una temperie culturale che, naturalmente secondo declinazioni distinte ma non distanti, rivive in lei come lo speculum attraverso cui guardare gli abissi dell’interiorità e l’apparenza fantasmatica dell’esteriorità.



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