venerdì 3 febbraio 2012

Un paradiso ritrovato al Louvre... di Roma

Tempo fa, durante una mia passeggiata romana con il naso in aria e la testa presa da mille pensieri sulla probabile inutilità delle foto appena scattate, mi sono imbattuta nella vetrina di un negozio che ha attirato la mia attenzione.
Avvicinandomi ho guardato meglio e mi sono resa subito conto che in realtà definirlo negozio era improprio, era più una galleria d'arte; poi, entrando, mi son detta che no, non era nemmeno una galleria o comunque anche il termine "galleria" risultava riduttivo, si trattava piuttosto di un archivio, un archivio fotografico. In ogni caso, cosa fosse fosse, era un luogo che mi faceva sentire come Alice nel Paese delle Meraviglie (e sfido qualunque fotografo, professionista o amatoriale, a non sentirsi così mettendo piede in quel posto).
Il nome ufficiale è "Il Piccolo Museo del Louvre", in via della Reginella n.28, nel cuore del ghetto di Roma, ed è gestito da Giuseppe Casetti che lo ha aperto nel 1995. Lo spazio è diviso in due locali, contigui ma indipendenti: quello principale ha libri d'antiquariato, cartoline, ex-libris, autografi, opere collegate alla cultura del secolo scorso, e a fianco c'è il locale, molto più recente, che ospita più di trentamila immagini, quasi tutte vintage print, di diverso genere, dal reportage alla moda, dalle foto di scena alle immagini amatoriali: insomma, c'è il luogo delle meraviglie. Ripercorro con voi quell'incontro, così, come l'ho vissuto.
Chiacchierando amabilmente con Giuseppe, quel giorno mi si è aperto un mondo. "Il nome è giocosamente altisonante, volutamente surrealista", mi dice, indicandomi una sedia e parlando con voce bisbigliata, a sottolineare la sua innata timidezza.
Gli domando cosa lo ha spinto a raccogliere tutti gli album di foto intorno a me. "Fin da ragazzo ho amato molto la fotografia. Io nasco come libraio antiquario, ma per le foto ho sempre avuto una profonda passione. La foto si lascia guardare e ti permette la contemplazione ma senza essere invasiva, il che, per un timido un po' nevrotico come me, è fondamentale. Da studente le pareti della mia stanza erano ricoperte di immagini ritagliate dai giornali perché non potevo permettermi di acquistare fotografie vere e proprie, poi, col passare del tempo, ho potuto effettuare qualche acquisto e alla fine, negli anni, ho raccolto un numero molto vasto di foto, quelle che vedi qui. Tutto comunque è nato da una mia passione, anzi, diciamola tutta, da una mia vera e propria perversione: giornate intere trascorse in giro fra i mercatini in cerca di scatti, anche e soprattutto anonimi, fatti da gente comune a gente comune. Ho cercato di seguire dei filoni, ad esempio, per un periodo ho cercato fotografie di gente che saltava, poi che ritraessero persone con alle spalle un monumento di Roma, poi nudi di donne scattate da fidanzati o amanti, perché sai, il nudo fatto da un comune innamorato offre molto di più di un nudo artistico scattato da un professionista, mette in risalto l'amore, il sentimento, il desiderio carnale che chi fotografa prova per la donna che sta ritraendo. Ti regala una carica erotica che una foto di nudo di studio non raggiungerà mai".
Mentre parla mi mostra alcuni di questi nudi e guardandoli mi rendo conto che ciò che dice è vero, quelle fotografie evidenziano imperfezioni del corpo che una modella non ha, ma proprio questa naturalezza offre il polso dell'amore che chi ha scattato ha provato per la donna che amava e che desiderava carnalmente in quel momento e quel momento e quel desiderio sono ancora lì, vivi e imprigionati per sempre nel qui ed ora dello scatto e l'erotismo emanato tocca le corde dell'anima, cosa che un nudo d'autore non riesce a fare, proprio per la sua perfezione, sia estetica che tecnica.

Il piccolo Museo del Louvre ha sempre curato anche mostre fotografiche e Giuseppe può vantar di diritto di esser stato uno dei primi a lanciare addirittura una fotografa come Francesca Woodman (l'ho detto fin dall'inizio che il suo è il paese delle meraviglie per un amante della fotografia). Vedo alcune foto che riconosco essere della Woodman e così domando. Giuseppe esita un po' e io scopro che lui è stato molto amico di Francesca nel periodo che lei trascorse a Roma. "Quando avevo la libreria 'Maldoror', insieme a Paolo Missigoi, abbiamo curato la prima mostra personale di Francesca". Si alza, apre una vetrinetta e mi mostra la cartolina di un boxer, la gira e me la legge, poi me la porge e mi permette di fotografarla e mi accorgo di avere tra le mani una vera chicca per chiunque, come me, ami la Woodman. Quella cartolina rivela la vera Francesca, allegra, giocosa, spiritosa e ancora alle prime armi, ma già creativa e artista a tuttotondo. La cartolina la spedisce, diciamo così, il cane di Francesca al cane di Giuseppe e lo invita a dire al padrone di ospitare la personale della sua padroncina, insomma è un vero divertissement letterario.

"Ma com'è nata l'idea di aprire questo posto?" domando. "Beh, intanto un giorno, sempre in un mercatino d'antiquariato, trovai l'intero album di fotografie che erano state mandate alla RAI da persone che volevano partecipare alla trasmissione 'Pronto Raffaella' e capii di essermi imbattuto in un vero e proprio spaccato socioculturale dell'Italia di quegli anni '80. Sono foto straordinarie, con personaggi a volte disarmanti per la loro assurdità, a volte commoventi nella loro spontaneità, in ogni caso poetici e comunque sicuramente interessanti proprio dal punto di vista sociologico e decisi che dovevano esser mostrate (infatti ne feci una mostra), poi decisi che dovevano continuare a vivere, anche raccolte in un album. Dunque, se dovessi riassumere, posso tranquillamente affermare che questo posto è nato da una mia perversione che è quella che mi ha portato ad avere la costanza di girare e scartabellare negli scatoloni di fotografie ammassate nei mercati delle pulci, poi dal ritrovamento dell''album di Raffaella', come lo chiamo io, ma soprattutto dalla spinta a mostrare tutta questa perversione e la spinta me l'ha data lei", e così dicendo Giuseppe mi indica la ragazza che durante tutta la nostra chiacchierata era rimasta seduta alla scrivania: è Benedetta Montini, un'artista che utilizza i vari linguaggi performativi dell'arte e vera artefice della creazione di questa sorta di wunderkammer. Verrebbe spontaneo dire che dietro a un grande uomo c'è sempre una grande donna, ma non lo dico.

Quel giorno, tornando a casa e facendo mente locale su quegli scatti, pensai che non importa se uno stesso soggetto viene fotografato innumerevoli volte da innumerevoli persone e riflettei anche sulla frase di Cartier Bresson che Benedetta mi aveva citato: "La massima aspirazione di una fotografia è di finire in un album di famiglia"; un album privato quindi, non necessariamente una rivista patinata, e se lo dice Bresson c'è da credergli e di che rincuorarsi, perché significa che non solo gli scatti che facciamo da professionisti ma anche quelli da semplici appassionati hanno tutti un loro perché, una loro dignità e possono infondere emozioni a noi e alle generazioni future che un giorno magari li ritroveranno in un posto come quello da cui io ero appena uscita, regalando le stesse belle emozioni che io avevo provato. E questo, credetemi, non è poco.


Monica Cillario


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