giovedì 22 marzo 2012

10 ragazze per Freud | A cura di Lori Adragna per NUfactory

Lunedì 26 marzo 2012 alle ore 19 s’inaugura al Teatro Palladium, “10 ragazze per Freud”, group show nato da un’idea di Lori Adragna. Il progetto è curato da Lori Adragna per NUfactory con l’assistenza di Antonella Di Lullo.

In mostra le opere di:
Arianna Carossa - Laura Cionci - Francesca Fini - Silvia Giambrone - Jessica Iapino- Maria Carmela Milano - Chiara Scarfò - Alice Schivardi - Vania Elettra Tam- Fernanda Veron.

Le dieci artiste, tutte di talento e di acuta sensibilità, hanno qualcosa da dire a quel Sigmund Freud che secondo certa letteratura non fu mai in grado di comprendere le donne, tanto da definirle “il continente oscuro”. Utilizzando l’arte come espressione creativa recondita dell’Io e con una buona dose d’ironia, le artiste mettono a nudo pulsioni, tendenze, desideri, sogni scaturiti dalla propria coscienza e occultati nell'inconscio.

Chi è Freud nell’immaginario collettivo? Il padre della psicanalisi che ha ispirato i movimenti femministi oppure il “reazionario misogino e fallocrate” come lo definisce il filosofo Michel Onfray? Radicalmente opposto alla liberazione dei costumi, lo psicanalista sosteneva l’inferiorità morale del “sesso debole” in ragione del peculiare sviluppo ontogenetico e filogenetico e vedeva l’omosessuale come figura imperfetta, che non ha compiuto il “normale” percorso della libido. Senza intenzione di scalfire la portata delle geniali intuizioni freudiane sui meccanismi dell’inconscio, ci s’interroga su quanto la psicanalisi -inventata da un uomo sulla e per la cura di donne- non abbia cavalcato l’onda maschilista e patriarcale della patologizzazione del femminino. Simile atteggiamento, ancora radicato nel senso comune di uomini (ma anche di donne), diviene troppo spesso alibi di una cultura contemporanea che propone alle giovani generazioni modelli femminili negativi e stereotipati, lontani dall’idea di valorizzazione di sé e del mantenimento dell’autostima, quando non basati sulla pretta mercificazione del proprio corpo.

Le dieci artiste provano a rispondere alla famosa domanda di Freud: cosa vogliono le donne? Presentano una serie di opere eterogenee (dalla pittura all’installazione, al video, passando per la performance e la fotografia) in gran parte inedite, realizzate per questo progetto e alcuni testi autografi che, affiancati dall’interpretazione della psicologa Nicoletta Zanoletti, sono raccolti in un catalogo/taccuino dell’analista. Questo progetto, infatti, ipotizzato come una “stanza analitica” che protegge e favorisce il rapporto co-creativo artista/psicologa, ha reso possibile registrare emozioni trasfigurandole in immagini/parole e da queste, riverberare nuove emozioni fruibili da chiunque. Inteso come un laboratorio, 10 ragazze per Freud accoglie lo scambio e l’interazione tra soggetti diversi di cui l’evento al Palladium rappresenta il risultato comunicativo.

Arianna Carossa introducendo un foglio bianco nella fenditura di un pezzo d’acero, rappresenta il limite estremo di rottura, la possibilità della natura pulsionale della donna di trovare un’autodeterminazione tramite il “fallo potente” del proprio atto creativo.

Laura Cionci con la sua installazione si avvale della materia quale metafora alchemica di un conflitto atavico: bisogno fusionale psichico con l’Altro e al tempo stesso, impossibilità di tornare ad un tale stato senza sentirsi annientati e soccombere al Caos.

Francesca Fini mostrando una video-performance che si ispira alla "Società dello spettacolo" di Guy Debord, riflette sul potere dell'immagine massemediatica sulla psiche umana e ne rappresenta la potenza d’urto attraverso la manipolazione stessa del corpo.

Silvia Giambrone propone una lettera di Rosa Luxemburg ed estrapola da riviste femminili di oggi, titoli e scritte detournandoli su foto di famiglia; nell’incontro tra volti del passato e messaggi comuni s’innalza la voce di una Donna, simbolo di Forza e di “Resistenza”.

Jessica Iapino con una scena in loop tratta dal suo film Baptism, enfatizza lo slalom di una bambina rumena (dunque traniera-estranea-diversa), tra l’immobilismo ieratico di alcune suore, rievocando in ciascuna di noi il desiderio d’interrogarsi circa le “dimensioni” della propria libertà.

Maria Carmela Milano con una serie di scatti in cui lei stessa e le donne della sua famiglia indossano barbe e peluria, realizzate con materiali tessili, ci spinge a confrontarci con l’immagine che abbiamo di noi stesse e con il coraggio di essere semplicemente così come si è.

Chiara Scarfò risponde alla domanda di Freud raccontando un sogno ricorrente e con la serie di self shots "Lulù": figura simbolica di chi, camminando in equilibrio sul filo, ha attraversato l’interno del proprio e dell’altrui manicomio.

Alice Schivardi con l’esibizione in pubblico di Nicoletta Salvi, cantastorie femminista al settimo mese di gravidanza -che canterà un pezzo da lei stesso scritto e composto- mette in luce la meravigliosa potenza creatrice insita in una donna solo apparentemente “comune”.

Vania Elettra Tam attraverso una lettera personale al prof Freud e la sua pittura in bilico tra gesti quotidiani e analisi della propria Ombra, indaga con ironia il binomio Vita/Morte, more/sofferenza, da sempre attribuito dalla psicoanalisi al masochismo sessuale e morale “dell’essere donna”.

Fernanda Veron con le sue fotografie incentrate sulla figura primigenia di Eva e il con il suo testo,sottolinea che “la donna è sì il lato oscuro dell’universo, ma perché conserva ancora in sé il segreto non detto del mistero della vita.



Inaugurazione Lunedì 26 marzo ore 19.00


26 marzo 2012- 30 aprile 2012
Teatro Palladium
Piazza Bartolomeo Romano, 8
Ingresso libero

INFO
06 57 33 27 81


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Vania Elettra Tam | Lettera al Professore
“Chiarissimo Professor Sigmund Freud, sono una rappresentante del “continente oscuro” e, viste le difficoltà che Lei trova nel decodificare il gentil sesso, vorrei venirLe in contro per facilitarLe la comprensione dei pensieri che esprimo attraverso la pittura. Prendiamo ad esempio l’opera “Mestieri… che passione”, una donna stende un lenzuolo ad asciugare ma, inspiegabilmente, l’ombra proiettata su di esso si trasforma in quella del Cristo crocifisso. Un semplice gesto quotidiano si trasfigura dunque in qualcosa di misterioso ed inspiegabile. Soggetto e figure oltrepassano il povero significato contestuale per mescolarsi con quello ambiguo ed insieme tragico della iconografia cristiana. La passione con cui la casalinga svolge il semplice gesto non è certo paragonabile a quella ben più importante di Nostro Signore e a sottolinearlo c’è il volto sconsolato impresso sulla maglietta appesa di fianco al lenzuolo (una sorta d’inattesa Sindone domestica). Tuttavia l’evento (che l’opera pittorica rende possibile) getta una luce nuova e paradossale nello stanco e reiterato fluire degli avvenimenti quotidiani, lo ferma e lo sospende. E tale sospensione ne dilata i contenuti pittorici arricchendoli dei significati simbolici e iconografici più toccanti e cruciali della cristianità. L’opera infatti, attraverso i canali arguti e misurati dell’ironia e dello slittamento narrativo, mette in scena un vero e proprio cambiamento di senso. Così il tema del Sacrificio del Cristo, ampiamente frequentato nella storia dell’arte e assunto quasi a sterile icona nel linguaggio della contemporaneità, torna paradossalmente ad essere vivo e toccante nella trascrizione della monotonia quotidiana. Probabilmente, caro professor Freud, potrei affermare con Lei che, come la struttura tripartita della mente umana, anche l’opera rappresenta l’Io il Super-Io e l’Es. La maglietta-Sindone è l’Io, cioè il substrato cosciente in cui si ha consapevolezza; il lenzuolo è l’Es, l’inconscio capace di raccogliere un’enorme quantità di informazioni che vanno dall’infanzia alla morte; l’ombra è il Super-Io ovvero il Cristo “censore” o, se si vuole, il compendio etico-discriminante della coscienza dell’uomo di oggi… e della donna naturalmente”

Con stima Vania Elettra Tam


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