mercoledì 20 aprile 2016

CONTENUTI NELL'ARGILLA. Allo Studio Barnum contemporary di Noto, la mostra retrospettiva delle urne ceramiche di Pia Scornavacca, a cura di Vincenzo Medica.

CONTENUTI NELL'ARGILLA
mostra retrospettiva delle urne ceramiche
di Pia Scornavacca

17/30 aprile 2016
Studio Barnum contemporary
via Silvio Spaventa 4
h 10/13_17/20 NOTO

APERITIVO CON L'ARTISTA
Sabato 23 aprile ore 18.00
ingresso libero/free entry
a cura di Vincenzo Medica


***

DEI DESTINI INCAPSULATI
Le urne cinerarie di Pia Scornavacca

Testo critico a cura di Giovanni Miraglia

                                                         

"Rari sono i giorni in cui proiettato nella post-storia io non assista  
all’ilarità degli dei al termine dell’episodio umano."  
Emil Cioran

 
Se l‟urna è quel «recipiente di legno o di cristallo, di varie forme, per raccogliere le pallottole o le schede delle votazioni, o per estrarre le sorti  [nonché] vaso da riporvi le ceneri o le ossa dei morti» (così lo Zingarelli, sottolineatura mia) le urne di Pia Scornavacca stanno lì a rappresentare, dunque, l‟estrazione del destino dei personaggi non ordinari che l‟hanno ispirata; che lei ci restituisce “incapsulato” in questi suoi reliquiari. Sì, perché questi lavori ceramici (che hanno visto la luce fra il „93 e il ‟96) partecipano della funzione ludica (quella di una sarcastica “estrazione a sorte”, appunto) e di quella reliquiaria, per dir così. Ma andiamo con ordine: andiamo all‟origine di questi lavori. Pia Scornavacca – nata nel ‟51, già docente di belle arti e artista di lungo corso – nel lasso di tempo sopra indicato ha tratto ispirazione da alcuni incontri con donne ed uomini poco ordinari;
oltre che dall‟incontrare la se stessa “Efesia”! (ma di questo dirò dopo). In quei giorni della post-storia, infatti, giungevano a singolare maturazione alcuni individui – di entrambi i sessi – che più o meno coetanei dell‟artista erano nel punto più alto di una parabola che li aveva visti dare una “scalata”  alla vita per versanti non battuti, percorrendo i quali quella (e con essa il mondo) sarebbe cambiata; ovvero, sarebbe fuoruscita dalla moderna, mortale trimurti produci consuma crepa per inoltrarsi in un territorio liberato!  

Solo che talvolta quei tentativi furono maldestri e Pia – avendo intercettato in quegli anni alcune di quelle contraddittorie vitalità – dando fondo al suo innato sense of humour le ha “rinchiuse” in 
questi suoi particolari recipienti; aspirando a racchiuderne la “pungente essenza”: per mostrarcela! 
Mi ha scritto un paio di mesi addietro: «Non dimenticare che le urne furono forgiate fra il 1993 e il 1996. Qualche vita fa… In apertura alla mail ho messo una frase di Cioran che avevo trovato molto pertinente alla poetica sarcastica delle mie urne cinerarie. Un divertissement  grottesco sulle nostre umane debolezze […]» . (Solo che qui cinerario va letto come essenziale: conservando, le urne, la “sostanza” di persone vive e vegete).   

Difatti, per quanto mi consta, l‟urna primigenia è quella Di colui che sempre fuggì. L‟epigrafe che l‟accompagna recita: Logorai la mia vita fuggendo invano, da me stesso (e sia detto en passant, 
queste epigrafi di Pia stanno come opere d‟arte a sé, descrivendo perfettamente un destino in una breve, ironica i(n)scrizione).  L‟ispirazione che ha dato vita a questo arte/fatto risiede in una corsa in motocicletta con colui, alla quale Scornavacca fu costretta dalle circostanze. Colui, infatti, correva sempre in moto (una specie di motociclista di Amarcord, ma molto più discreto in questo caso) da se stesso fuggendo invano, giustappunto. E Pia, quindi, ce lo rende nell‟urna con uno sguardo sperso e (ar)reso al fato. Guarda avanti, ma non sembra procedere verso ciò che osserva (nonostante sia in groppa alla sua cavalcatura). Pare guardare – con occhio fesso – ad un imperscrutabile, irraggiungibile al di là. E si condanna all‟immobilità!   

Che dire poi dell‟Urna dell’architetto” (in questo caso di genere femminile)? Ella ci dice di se stessa: “misurai, soppesai, equilibrai, / perduta nei miei calcoli fui preda del caso”. Dirò, allora,  che innanzitutto mi fa venire in mente (un po‟ alla lontana) Aristobolus Ursiclos, importante (e antipatico) personaggio del Raggio verde di Jules Verne, che pretende di “misurare” tutto e tutto spiegare in termini scientifici. Con risultati francamente disumani! E però la nostra architetto non ha l‟arroganza di quello, anzi. Il suo sguardo è rivolto al cielo, agli astri con cui ora si misura, candidamente stupita di quel suo fato inestimabile, da essi capricciosamente determinato.   
 
Però si tenga conto anche di questo: che nell‟iconografia buddhista l‟urna sta a significare «una piccola protuberanza posta tra gli occhi dell‟immagine del Buddha, che in seguito diverrà un punto splendente, simboleggiante il terzo occhio della visione spirituale». (Dizionario delle Religioni Orientali. Vallardi-Garzanti, Milano 1993). Ebbene, Pia Scornavacca ci ha consegnato fra i 
personaggi di queste sue ceramiche – precisamente nell‟Urna delle amiche del cuore - due  figure la cui epigrafe recita: “Gelose serbammo i nostri segreti più cari”. Soltanto che una di quelle due 
donne non solo è stretta nell‟abbraccio all‟altra; ma è anche circoscritta nei mandala che crea regolarmente, aspirando (confusamente?) alla buddhità. E la cui presenza sul vaso vogliamo intendere come rimando a quella dimensione spirituale. 

Ma l‟urna che considero la più emblematica di tutte è quella Di colei che fu prodiga. 
Raccogliendo una confidenza di Pia ho infatti appreso che quella prodiga è lei stessa! Dove però, aggiungo io, la prodigalità va intesa come il sempiterno dono che Scornavacca ha fatto di sé agli altri e all‟arte. (In questo senso è da leggere quel “Generosamente mi offrii alla vita” posto in epigrafe all‟opera). Sottolineando il fatto che la polimastia “sottostante” quel torso, su cui spicca un viso di sublime stupore, non può non rimandare  all‟Artemide Efesia; ossia alla statua della dea, 
risalente al II secolo d.C., presente nel tempio di Artemide a Efeso (Turchia) e attualmente conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. E «sul cui busto propendono un insieme 
di "mammelle”…», simbolo di fertilità. Non mi stupisce, perciò, questo riferimento antico (voluto o meno dall‟artista, poco importa credo). Pia Scornavacca – seppur prestando vigile attenzione 
all‟evoluzione dell‟arte moderna – ha sempre mantenuto un rapporto costante con quella antica. E non solo in termini di studio. Si pensi, ad esempio, al ruolo di salvaguardia che lei e il marito, Carlo Sapuppo, hanno svolto sul campo (letteralmente) per la difesa, attraverso l‟arte, del sito di Noto 
antica! Si pensi, ancora, al “culto della memoria” (artistica e storica) che entrambi praticano. Che ha fruttato, ad esempio, una mostra come “Cari estinti”, prezioso documento etnoantropologico sulle realtà scomparse del territorio dell‟antica Noto, allestita presso la chiesa di S. Caterina, nel 2003. 
Non mi stupisce, allora, che per rappresentare alcune figure della “post-storia” (locuzione che anche Pasolini impiegava; con la variante dopo-storia, però) lei abbia scelto dei contenitori già conosciuti nella proto-storia. E che li abbia forgiati con argilla di divina, moderna ilarità!
 

                                                                                                        

Pia Scornavacca è nata nel 1951, insegnante per molti anni di disegno dal vero, Nel 1978 Pia ha iniziato a tracciare la sua via nell’argilla, ovvero, a dedicarsi all'arte ceramica. Creando opere che hanno incontrato il gradimento dei connaisseurs, l’ospitalità di importanti gallerie in Italia e all’estero e il riconoscimento delle istituzioni. Già nel 1980, infatti, un’opera dell’artista veniva premiata alla Biennale della Ceramica di Caltagirone. Mentre l’anno scorso veniva invitata, dai Musei Civici della stessa Caltagirone, a esporre le sue Urne ceramiche (realizzate fra il ’93 e il ‘96) nell’ambito della mostra “Arte Ceramica al Femminile”. Urne che, come scrive Giovanni Miraglia (che della Scornavacca è appassionato critico e amico maieutico), «stanno lì a rappresentare l’estrazione del destino dei personaggi non ordinari che l’hanno ispirata; che lei ci restituisce “incapsulato” in questi suoi reliquiari». E che, come sottolinea Domenico Amoroso (ex Direttore dei Musei Civici calatini), «dimensionalmente miniaturistiche eppure monumentali e totemiche, nella loro lirica grazia […] risultano meditanti e finanche ammonitrici alla maniera epigrammatica… » Sovrastate dall’ironia di una sentenza di Emil Cioran, scelta come epigrafe dalla stessa ceramista: Rari sono i giorni in cui proiettato nella post-storia io non assista all’ilarità degli dei al termine dell’episodio umano.

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