mercoledì 4 maggio 2016

IL COLLETTIVO “NIENTE DA VEDERE” IN MOSTRA DURANTE IL CIRCUITO OFF DI VIA ROMA ALL’INTERNO DI FOTOGRAFIA EUROPEA 2016.



“Niente da Vedere” comprende i lavori “Verde Contemporaneo” di Daniele Cametti Aspri, “Assedio” di Vincenzo Labellarte, “Insulae” di Paolo Fusco e “Blank” di Sergio Figliolia

Dal 6 al 15 Maggio 2016
Via Secchi 3/c, Reggio Emilia

Il collettivo “Niente Da Vedere” composto da Daniele Cametti Aspri, Paolo Fusco, Vincenzo Labellarte e Sergio Figliola esporrà i propri lavori a Reggio Emilia dal 6 al 15 Maggio 2016 durante il Circuito OFF di Via Roma, sezione libera e indipendente di Fotografia Europea che trae energie dalla creatività e dallo spirito di collaborazione di artisti e abitanti della storica via, cuore del centro cittadino.

“Niente Da Vedere” illustra una Roma documentaria ma non didascalica, quotidiana eppure sconosciuta. Le aspettative di chi visita una mostra fotografica sono generalmente quelle di trovare il bello o l’inconsueto. Lo scopo di questa operazione è invece opposto: gli autori qui rappresentati rivolgono la propria attenzione al consueto. Così, attraverso i dettagli, l’ordinario è evidenziato al punto da diventare manifesto anche all’occhio assuefatto che, probabilmente, non lo ha mai visto.

“Niente da Vedere” ricompone così la forma scomposta di Roma. Cantieri inattivi, spazi verdi a compensazione di standard urbanistici, cartelloni pubblicitari, muri/barriere di recinzione. Citazioni del quotidiano che restituiscono l’immagine di una metropoli in balia degli interessi privati, che ha perso la sua dimensione sociale: la Roma della Metro C, della Nuvola e della speculazione; degli scontri di Tor Sapienza e delle gated communities sul Raccordo.

Il progetto fotografico collettivo “Niente da vedere” propone i lavori “Verde Contemporaneo” di Daniele Cametti Aspri , “Assedio” di Vincenzo Labellarte, “Insulae” di Paolo Fusco e “Blank” di Sergio Figliolia.

VERDE CONTEMPORANEO di Daniele Cametti Aspri
"Verde Contemporaneo" è una nuova tonalità di verde comunemente abbinata con il "Grigio Cemento" o il "Grigio Asfalto" nella giustificazione paesaggistica ed ambientalista dello sviluppo della nuova urbanizzazione ad alta densità e dei mega centri commerciali ecofriendly. Solitamente è usato con parsimonia attraverso spennellate di alberelli di piccolo fusto di giovane età confinati in aiuole asfittiche che sicuramente ne fungeranno anche da tomba in breve tempo. Parimenti, il verde contemporaneo è presente anche nei rendering dei progetti urbanistici di studi di architettura blasonati e spesso viene usato con successo come alibi ad opere di cementificazione massiccia. La realtà è spesso diversa dalla fantasia degli architetti. 


Nel percorrere le strade delle nuove periferie la nostra percezione visiva è stimolata da immagini inconsuete. Contrasti evidenti di spazi verdi costretti dal cemento in zone al limite della città ma circondate dalla campagna. Un contrasto che appare ancora più evidente vista l’ampiezza dell’orizzonte. Un connubio di colori inatteso per una società che dovrebbe tendere alla vivibilità ed a sistemi urbani eco-compatibili.
Ma a tutto esiste una spiegazione. Il “Verde contemporaneo” è infatti il frutto di un paradosso nell’attuale regolamentazione per l’affidamento di appalti di urbanizzazione ed il loro rapporto con la realizzazione di servizi pubblici affidatigli dalle amministrazioni comunali. A fronte delle concessioni edilizie di grandi insediamenti urbani, spesso collegati con centri commerciali, le amministrazione affidano ai costruttori la realizzazione delle strutture di servizio pubblico: rete idrica, strade, parcheggi e aree di verde pubblico. Queste opere vengono realizzate dal costruttore al posto del pagamento di oneri edilizi all’amministrazione e rappresentano un’ulteriore occasione per incrementare il margine di profitto a discapito della qualità di vita.

Da qui la definizione “Opere di urbanizzazione a scomputo” e la nascita del “Verde contemporaneo” che si erge a simbolo dell’ennesima attività lucrativa a scapito del benessere della comunità.

ASSEDIO di Vincenzo Labellarte (testo di Federica Colonna)
Sotto assedio. Ecco come appare Roma agli occhi di un osservatore: una città occupata, dove le gru, in una caotica epidemia di cantieri, sembrano grandi macchine d'assedio medievali. Alte, immobili, sono diventate elementi tangibili di una trasformazione incompiuta, nella quale acciaio e cemento si fondono insieme per dare vita a un nuovo surreale paesaggio urbano.
E se tra le lamiere dei lavori in corso e i palazzi emergono, a tratti, orgogliosi e inattesi sprazzi di bellezza, le strade capitoline sono diventate luoghi di un disagio quotidiano. Qui la vita dei romani si ferma, si interrompe in un tempo sospeso, come se restasse bloccata dalle barriere sorte ovunque, per dividere la città in quadranti diversi, piccoli e isolati. Tanti campi di battaglia dove l'esperienza di ogni giorno si frantuma e sprofonda negli scavi e nei tempi dei lavori in corso. Eterna non è più Roma, ma la sua incompiuta mutazione.
Eppure dall'assedio non derivano solo stanchezza, sconforto e paura – per il futuro della città, le sue prospettive, per la dichiarata difficoltà a cambiare e a diventare davvero una metropoli. Per strada, infatti, si incontra anche la sorpresa: i contrasti di luce, di notte, disegnano paesaggi surreali, tra gli edifici e i lavori in corso – due antichità a confronto, il lascito del passato, da una parte, e quello dei contemporanei insieme. E là dove di giorno prevalgono il caos, la vita e il rumore, restano invece solo un sorprendente silenzio e un sentimento bizzarro di irrealtà. Come se qui non ci fosse più scampo, come se la città e i suoi abitanti fossero destinati ad attendere, ad arrendersi, condannati a guardarsi intorno. Per trovare bellezza, certo, e un chiassoso senso di inquietudine. 


INSULAE di Paolo Fusco
Insulae è un progetto che vuole raccontare la ricerca di isolamento rappresentata dai muri che circondano i nuovi edifici che vengono costruiti nelle estreme periferie di Roma, nei quartieri nati dopo la seconda metà degli anni 2000. Laddove in diverse parti d’Europa si sperimentano nuove idee di condivisione degli spazi abitativi, a Roma l’obiettivo sembra quello di chiudersi dietro muri che separino e tengano lontano l’altro. Stiamo sviluppando quartieri che, oltre ad essere esteticamente discutibili, insegnano a chi li vive a non fidarsi degli altri e a rimanere chiusi ed isolati. Le periferie romane, specialmente quelle più ricche, sono diventate luoghi che respingono gli estranei e che rinchiudono i propri tesori dietro muri che bloccano ogni sguardo. Mi sembra un chiaro sintomo di come la società italiana sia cambiata negli ultimi anni.


BLANK di Sergio Figliolia
“Intentionally left blank” si legge di solito sulle pagine dei libri lasciate vuote.
Non si intende qui indagare i motivi dellassenza. Siamo su un piano diverso da quello giornalistico infatti e di intenzionale c’è la volontà di cogliere cartelloni e altre strutture mentre vengono lasciati "in bianco".
Ecosì che su quei tabelloni, che dovrebbero rappresentare il punto in cui guardare per trarre informazione, troviamo il vuoto. Apparentemente un grande controsenso.
Cartelloni strategicamente collocati per catturare la nostra attenzione ma svuotati della loro informazione. Forse dovremmo liberarci dei nostri canoni consueti e riconsiderare: l
assenza di informazione non é essa stessa messaggio?



Per ulteriori informazioni:
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