martedì 16 maggio 2017

INTERVYOU. nel privé con Davide Puma, intervistato da Marla Lombardo.


Personalità divorante e onnivora, la passione è la qualità che lo contraddistingue, nel lavoro, negli affetti, nelle cose belle.

Animo inquieto e visionario, attento osservatore del mondo che lo circonda, ama osare, stupirsi e contraddirsi e difendendere sino all’estreme conseguenze la sua sensibilità squisitamente pascoliana.

La sua arte affascina ed emoziona ed il suo amore per la pittura è viscerale, esistenziale oserei dire.
Per lui dipingere è glorificare il gioco di Madre Natura con l'uomo.

Davide Puma è l'ospite di INTERVYOU, il privé di Untitled Magazine  



Davide artisti si nasce o si diventa? 
Guarda, non so gli altri, ma “io modestamente lo nacqui”.

Quando hai cominciato ad approcciarti all'Arte, qual è stata la spinta per cominciare? 
Ho cominciato ad avvicinarmi al mondo dell’arte come tutti i bambini, disegnando con mio fratello e cominciando a creare un mondo immaginifico. Già allora non riproducevo il mondo com’era, ma me ne ricreavo un altro, molto personale. Ricordo che a casa avevamo delle splendide enciclopedie sui musei più importanti del mondo ed io ero affascinato da molte immagini che vedevo. Ricordo che una delle immagini che mi colpiva di più, a cui tornavo spesso, era il quadro di Rembrandt “La ronda di notte” affascinato dai due personaggi principale, in luce, con la loro divisa luccicante. Ma devo dire che il mio approccio all’arte è partito dalla letteratura, dalla parola e poi in seguito anche dalla musica. Per molto tempo ho pensato che questa forma d’arte, le parole e la musica, sarebbe potuta diventare il mio lavoro, il mio modo di esprimermi nel mondo. Dunque, sognavo di fare il cantautore, poi questa forma d’arte si è diluita e un po’ l’ho persa.


Come mai ha scelto come mezzo espressivo la pittura? Perché ti sei avvicinato a questo linguaggio? 
All’età di 34 anni ho attraversato un periodo di crisi, durante il quale ho messo in discussione un po’ di cose della mia vita. Ho sentito il bisogno di appropriarmi di un mezzo creativo, di mettermi in maniera creativa di fronte a me stesso e al mondo. Mio fratello dipingeva già da molto tempo ed io non ho fatto che affiancarmi a lui per un breve periodo. Poi ho frequentato l’Accademia Balbo di Bordighera con il maestro Enzo Consiglio, che è stato molto importante per il mio primo periodo nel mondo dell’arte. Dunque, in quel periodo, ricordo che avevo molta determinazione. Dipingere e disegnare come studio era diventata un’ossessione. Ho poi conosciuto la pittura di vari maestri del passato e anche contemporanei e mi sono innamorato di alcuni, che mi hanno indicato la via o suggerito vari tipi di linguaggio che risuonavano dentro di me. Dunque, ho studiato la loro pittura e il loro modo di esprimersi.




Se io dico “Natura”, tu dici… 
La parola Natura mi fa subito pensare al tessuto primario, al concetto di madre, al concetto di sorgente, all’idea di casa. Se penso che in fondo è la nostra mente che ci separa dall’idea di unione con il tutto. Altrimenti ci potremo sentire legati alla natura come si sento gli animali e le piante.


Ci sono alcuni artisti che hanno influito o influiscono sul tuo lavoro? A cosa ti ispiri? 
Ci sono artisti che hanno influito sul mio lavoro sin dall’inizio e che mi hanno trasmesso un tipo di linguaggio che ha poi formato il mio modo di interpretare l’arte. Devo dire che, da subito, mi ha coinvolto, mi sono innamorato dell’arte di Velasco Vitali, un pittore contemporaneo. Prima di allora venivo da una grafica che era molto vicina al fumetto o alla pittura di Otto Dix. Poi sono scaturite altre passioni per Felice Casoratti e Enzo Vespignani. E è stata molto presente sin da bambino la figura di Leonardo da Vinci. Capita molte volte che mentre lavoro ad un’opera ho l’impressione di intraprendere uno stimolante dialogo con i maestri della storia dell’arte, sia quella antica che quella recente, saltando da un linguaggio che va da Leonardo a Raffaello, a quelli più recenti come Schifano e Basquiat. Ad esempio, quando lavoro sul corpo è sempre in me presente un linguaggio molto vicino a Rembrandt o Lucien Freud, oppure quando lavoro sugli sfondi, sui cieli, ho un rimando a Tiepolo. Tutto si mescola al mio sentire, al mio stato d’animo. Lo trovo molto affascinante questo miscuglio di linguaggi, mio e di altri, passati e presenti. È una tavolozza infinita, a cui attingere.



Secondo te, cosa ci definisce? Ciò che siamo o ciò che facciamo? 
Io penso che non siamo mai un’unica cosa e che non ci nutre mai un’unica cosa. Abbiamo una forma che attinge a 360° gradi e si nutre di tutto quello che arriva attorno, in maniera del tutto traversale, da dentro e da fuori. Dunque, ciò che facciamo è un mezzo per scoprirci, per sperimentare e per capire chi siamo.

Chi riconosci come tuoi simili? 
Mi sento molto vicino ai viaggiatori, a chi sta cercando. A chi affronta la vita con creatività. A chi adotta nuovi linguaggi. A chi osa, a chi sbaglia ma ha il coraggio di osare. A chi ha fiducia nella vita, nel cielo e nel cosmo. A chi parla di fisica, di fisica quantistica, di energia. A chi adotta pensieri positivi e a chi attira gente positiva. A tutte queste persone mi sento molto affine. Penso che queste persone siano un condimento molto importante per la crescita dell’umanità, perché in un certo qual modo indicano la via, la via verso il nuovo e danno così la speranza.

  
Tra le tue opere, ce n’è una cui sei più legato, diciamo per “affinità elettive”? 
Ce ne sono tante che sono importanti, ma devo dire che è sempre quella che non c’è quella che mi attira di più, è quella che sto cercando che sento molto vicina. Se devo indicare una delle opere più significative, mi viene in mente il quadro “Io sono qui” che rappresenta una figura femminile a seno nudo. Questo quadro, fatto nel 2009, dava il titolo a una mostra a Bordighera e rappresenta me stesso che affermo una presa di posizione e la voglia di intraprendere il viaggio. Ecco, quella è stata la mia prima mostra e quello è stato un quadro molto significativo. 

  
Chi, o che cosa, alimenta la tua passione per l’arte? 
La mia passione per l’arte è alimentata dall’arte stessa. Questo addentrarmi nella storia dell’arte antica e contemporanea nutre il mio immaginario, le mie intuizioni. Al tempo stesso devo dire che ci sono anche altre forme espressive che mi arricchiscono. Tra queste la musica, la letteratura ma anche il cinema, tanto che lo reputo ad oggi il più alto mezzo espressivo, che contiene in sé molte forme d’arte. E poi è la natura, stare in mezzo alla natura mi aiuta a ricevere nuove intuizioni, a creare i vuoti che sono essenziali per far arrivare nuovo materiale e nuove visioni per la mia pittura.



Come giudichi il Paese ITALIA in genere? 
Io sono dell’idea che noi nasciamo nei luoghi necessari per la nostra crescita e per la nostra evoluzione. Dunque, se ci sono delle difficoltà in certi posti o paesi è perché quelle difficoltà ci devono aiutare a tirare fuori delle capacità che sono dentro di noi ed è quello l’obbiettivo, il significato del nostro viaggio, del nostro percorso di vita. L’Italia è un paese pieno di cultura e penso che sia una grande fortuna per tante cose essere nati in questo paese. È un paese ricco di storia e di arte e tutto questo non fa che arricchire il valore di una persona che attinge da tale cultura.


Cosa accadrà in futuro? Cosa è scritto nell’agenda di Davide? 
Non sono molto bravo con i progetti a lungo termine, però per forza di cose devo imparare a gestire questa mia incapacità. Posso dire che a ottobre è in previsione la mia personale al museo MACS di Catania, una mostra per me molto importante e a cui stò lavorando da più di un anno grazie anche al supporto della mia curatrice, Sara Taglialagamba, che è una studiosa dell’arte e soprattutto del mondo di Leonardo da Vinci. Poi ci sono altri progetti, la mostra di Catania avrà altre date in altre città, che ancora sono da fissare. E c’è un altro progetto su Milano al Castello Sforzesco. Nel 2019 avverranno le celebrazioni per il quinto centenario della morte di Leonardo e per questa occasione ho in programma una mostra che creerà un dialogo con il linguaggio del maestro che, per me, è stato da sempre una figura molto importante, fino da quando era bambino. 

  
Tre aggettivi che ti rappresentano, o ti definiscono. 
Io sono un contenitore di contraddizioni, perciò tutto quello che posso dire definendomi si può contradire in breve tempo. Fondamentalmente sono, di natura, un sognatore. Sono una persona che cerca sempre il dialogo e di andare a fondo nelle cose. Dirlo in tre aggettivi? Vediamo: riflessivo, creativo e visionario, che magari è la stessa cosa.

 
Qual è il tuo motto? 
C’è una frase che mi ha aiutato molto volte ed è “bisogna imporsi di osare”. È una frase che periodicamente torna a galla e che mi da la spinta necessaria.

Ed il tuo vizio preferito? O hai solo virtù? 
Devo dire che ultimamente il mio vizio, il mio pericolo, la mia zona rossa è il divano. Il divano è molto contagioso. All’inizio lo uso per pensare, per riflettere, ma poi è come una sorta di gola che ti inghiotte e da cui fai fatica poi ad alzarsi. Induce alla pigrizia il divano, lo reputo come uno delle più grandi invenzioni del Novecento ma anche una delle invenzioni che ha causato molti rallentamenti nei progetti di vita.

Qual è, a tuo avviso, il compito dell’artista? Tu perché crei? Cosa ti spinge a dar forma ai tuoi pensieri ed alle tue emozioni? 
Il compito dell’artista è quello di essere un viaggiatore che cerca ma che porta, al tempo stesso, un messaggio. È un messaggero che porta un messaggio, che è ciò che veramente conta. Quando il focus viene troppo sul messaggero, il viaggio rallenta quasi fino quasi a fermarsi. È importante stare sempre nel flusso e cercare di stare sempre connessi a ciò che è il vero significato del messaggio. Perché creo? Mi viene da dire che questa è la cosa più semplice che mi riesca e che mi faccia stare meglio di altre cose. Questo mettermi in questo modo di fronte al mondo mi fa sentire a mio agio. È proprio come quando da bambino mi mettevo su un foglio di carta con dei colori e non facevo altro che creare nuovi mondi. Lo trovo molto naturale, com’è naturale respirare, com’è naturale il moto delle onde o il vento tra i rami. Per me è molto naturale creare, perciò se facessi altro andrei contro natura.





Che cosa ami di più? 
Io cerco di pormi davanti alla vita con uno stato d’amore. È come dire al mare: cosa bagni di più? Il mare bagna tutto quello che tocca. Fondamentalmente non voglio cercare di passare per santone, ma, cercando di avere questo atteggiamento di amore per la vita, il mio è un cercare di dare amore in maniera incondizionata. Poi è chiaro, le persone con cui mi relaziono ricevano più attenzione perché si crea una connessione con loro. Amo molto la natura. Amo la natura perché la sento come Madre, come tessuto a cui appartengo e che mi nutre. E dunque amo la natura in tutte le sue forme: il cielo, le nuvole, le onde del mare, i respiri, i silenzi, i vuoti. 


  
Qual è la tua più grande paura? 
Secondo me per un essere umano la grande paura è quella di non sentire più, di diventare apatici, che è una forma peggiore di quella di morire perché la morte è un processo naturale tanto quanto la nascita. Proprio l’apatia è una forma di non vita, che ti porta a non sentire più, a non emozionarti più, dunque a non partecipare più al gioco della vita che poi è il motivo per cui noi siamo qui, a gestire i nostri 5, 6 sensi e a vestire un nome, una forma, un sorriso, degli occhi. Insomma, questo è il motivo per cui siamo con queste sembianze.


L’Uomo è ancora misura di tutte le cose? 
L’uomo moderno è misura di tutte le cose finché si relaziona con la sua tecnologia, con il suo mondo e con il proprio ego. Finché si visualizza o si proietta o si rappresenta come al centro della terra o dell’universo. Ma in verità no, l’uomo no. Partiamo intanto dal fatto che siamo spiriti che fanno esperienza nella materia e quando siamo in un processo biologico nella materia non siamo altro che dentro a un tessuto, e dunque particella di un enorme, infinita matrice che ha un flusso evolutivo costante. Perciò, il tutto non è a misura d’uomo, ma noi siamo la scintilla di quel tutto. L’uomo raccoglie una parte della luce infinita e porta questa piccola fiammella, che è un grande dono. L’uomo è testimone, in quanto cosciente, di questa magnificenza che è attorno a noi. Mi viene in mente l’Uomo Vitruviano, l’uomo di Leonardo. Io penso si vada verso il Super-Uomo. L’avvento della tecnologia non fa che espandere questa coscienza dell’uomo, la capacità e le possibilità.

 
Cos’è per te la Bellezza? 

All’idea di bellezza risponde la mia curatrice Sara Taglialagamba che ha una bellissima definizione che però la passa a me gentilmente. L’idea perfetta di bellezza è la selezione delle parti più perfette che esistono in natura, così come diceva Zeusi il pittore nell’antichità. Ma detta però anche da me, la bellezza è qualcosa che fa vibrare dentro. Ci sono dei valori assoluti, canoni assoluti di bellezza: un tramonto è bello per tutti, a prescindere. Sta nella nostra evoluzione, nella nostra sensibilità e nell’apertura d’animo riconoscere vari gradi di bellezza ma la bellezza è davvero ovunque, a portata di mano, a portata di cuore.


Cosa fa Davide quando non è un “Artista”? Come trascorri i tuoi giorni, e, soprattutto, le tue notti? 
Quando non sono un artista, cerco di stare in mezzo alla natura, con le persone che amo. Una cosa che mi piace molto è viaggiare, andare nei posti dove si glorifica la natura in pieno e poi frequentare i musei ma questo facciamolo rientrare sempre nel Davide artista. Poi la notte dormo, e viaggio, e volo e chissà quante altre cose faccio e non lo so. Forse torno bambino e torno su quei fogli a colorare e suggerisco magari all’adulto nuove fonti di inspirazione. 



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