martedì 16 febbraio 2016

INTERVYOU. Nel privé con Aldo Palazzolo, intervistato da Marla Lombardo.

 
Photographer Credits  - Alberto Sipione

Personaggio inquieto, ribelle e libertario. E’ fra i testimoni più importanti del nostro tempo avendo immortalato i più grandi protagonisti del mondo della cultura contemporanea. Personaggi illustri ma anche sconosciuti che racchiudono storie, segreti, vite.
  
Le sue non sono semplicemente foto, ma opere alchemiche, potenti ed evocatrici, che esprimono il suo appassionante desiderio di ricerca continua, di un costante “andare oltre” i limiti del mero strumento; in lui c’è sempre l’intenzione di poter strappare l’immagine al tempo ed alla luce, elevandola così ad un livello “altro”, quasi mistico, immortale, per sempre. 
Del suo lavoro hanno scritto critici di tutto il mondo e le sue opere sono custodite in musei ed in collezioni pubbliche e private.

Aldo Palazzolo è l'ospite di INTERVYOU, il privé di Untitled Magazine. 

Photographer Credits  - JeanPierre Salomon


Aldo fotografi si nasce o si diventa?
A differenza di Totò io non lo nacqui e forse nemmeno lo "diventatti". Fui un onesto artigiano; usavo la fotografia per guadagnare la pagnottella. Mai conosciuto il sacro fuoco però mai svenduto. La mia rovina, per dirla col poeta, iniziò quando volli far entrare il cervello nella camera oscura. Ma è, questo, altro discorso.  
Aldo Palazzolo a tre anni
Aldo Palazzolo a sedici anni

Se io dico “Luce”, tu dici…
“Fiat” come disse il Numero Uno schierandosi, da subito, con gli Agnelli (ma non con le pecore). Poi mi toccò in dote il dovere di lavorare la luce e il tempo e siccome nessuno m’insegnò, né nacqui imparato, mi sono inventato esploratore e testimone, sperimentando la memoria armato di uno specchio oscuro e di tanto tempo perso; la fuga prospettica come sola prospettiva di fuga da un destino già scritto e non rispettato (fortuna mia!).
Cos'è per te “Fare Arte”?
L’Arte è un mistero godurioso: per me fu disciplina nel lavoro, sporcarsi le mani, non accontentarsi, estenuarsi: poi ancora studio, letteratura, scrittura, sperimentazione… Shakera con cura e servi con granita di limone in un pomeriggio infuocato, seduti a piazza Duomo, discettando sullo spettacolo degli ‘annacamenti’ turistici e della fauna autoctona.
Quale tua foto ti rappresenta meglio?
Il ritratto di Giulio Andreotti fu qualcosa di definitivo che pose fine ad una ricerca; dopo sono passato alla tecnica dei Liquid Light. E lì dentro il ritratto postumo (altro varco aperto) di Man Ray e il post human.
Giulio Andreotti

"Liquid Light", Patti Smith

Chi riconosci come tuoi simili?
Per spirito inquieto e risultati, mi rivedo in Man Ray. In Italia Ugo Mulas e Paolo Gioli. Amo su tutti Beato Angelico, Pontormo, Bronzino, Bacon, Giacometti, Burgeois, Kiefer.
Hommage a Man Ray
Schirzava / forsi / e / dicennu / subbra / a tomba / di un fotografu / cc’era scrittu: / non gniapriti / staiu sviluppannu.
- Salvo Basso - 


Quali sono state le tue collaborazioni più importanti?
Di sicuro la prima commissione ufficiale; avevo circa vent’anni. Reduce dalla lettura de L’Istituzione Negata di Franco Basaglia sui manicomi e tornato da Milano per una pausa breve, fui contattato per un lavoro sui pazienti del locale Ospedale psichiatrico. Ne venne fuori un reportage che conteneva in nuce quelli che sarebbero stati i miei futuri riferimenti fotografici ma che allora nemmeno conoscevo di nome; Diane Arbus, Richard Avedon fra tutti. Fu il mio battezzo espositivo a un Festival dell’Unità, credo nel 1972, col prof. Elio Tocco. La cosa ebbe un’eco anche a livello nazionale. In una realtà siracusana totalmente ignorante del dibattito culturale dell’epoca fece parecchio scalpore. Divenni subito un personaggio di riferimento. 
Dopo qualche tempo mi è stato chiaro che tutto ebbe inizio allora. 
Nel 1976, fotografo di scena ne Il Garofano Rosso tratto dal libro di Elio Vittorini (riferimento letterario per me imprescindibile di cui quest’anno si celebra il cinquantesimo anniversario della morte), girato soprattutto in Ortigia da una troupe romana capeggiata da Luigi Faccini, regista. La luce arrivava dal grande Arturo Zavattini, figlio del mitico Cesare. Fu la mia università in fatto di tecnica e di trucchi d’illuminazione. C’era un giovanissimo Miguel Bosè (nel ruolo di un improbabile Vittorini studente), Isa Barzizza, l’ancor splendida Elsa Martinelli, Maria Monti, Marina Berti e una piazza Duomo anni quaranta
Per ultimo la commissione, nel 2001, dell’allora Direttore del Conservatorio Musicale di Luzern, Thuring Bræm, per l’esposizione Ritratto di una città in Musica. Per un anno ebbi facoltà di frequentare gli insegnanti del conservatorio nonché i musicisti che arrivavano in città (sede di uno dei più prestigiosi festival di musica classica e contemporanea d’Europa) e prendere il ritratto a quelli che per un motivo o un altro mi toccavano.
Aldo Palazzolo, Autoritatto

Come giudichi il Paese ITALIA in genere?
Permettimi due risposte: la prima è politica. C’è molto movimento, ma è un movimento di vermi, rubata a Hegel. Però attenzione: i vermi veri non solo sono difficili da individuare ma anche da eliminare. 
La seconda: mare, sole pizza, ammore, chitarra e mandorlino.  
A ciascuno il suo.

"Il Garofano Rosso", 1976

Un fotografo italiano, anzi meglio siciliano, a Luzern. Cosa ti ha spinto a vivere, e lavorare, nella Svizzera tedesca?
Abitavo la Terrazza degli Eremiti, vista mare barocco di palma frusciante melodiosa; guardavo alla grecità classica, all’alba laboriosa, dal quinto piano di piazza S. Giuseppe e a lui, Giuseppe, sacrificavo devoto. Santa Lucia (forse gelosa), sguardo al tramonto, mi esiliò, complice il verminaio istituzionale locale. Santa Christina da Luzern mi accolse per non lasciarmi marcire sotto un ponte; eternamente debitore grato. La Talia si lasciò sfuggire così siffatto fotografo (quello della tua dotta introduzione, oh Marla, intendo) e le testimonianze iconiche innumeri del suo operato passato presente e futuro. Quasi tutti gli intellettuali locali illuminati dalla calda luce del tramonto, in beatitudine.

Siracusa, paesaggio da Piazza San Giuseppe

Cosa accadrà in futuro? Cosa è scritto nell’agenda di Aldo?
Oggi è vivere l’attesa senza domani. C’è in scaletta una personale alla galleria Carta Bianca di Catania: poi qualcosa bolle anche per l’Expo, I Santissimi ancora visibile a Parma. Un libro dei miei incontri, pronto da anni, non si decide a venire alla luce per ignavia (tanto al cesso non si porta più un libro ma il ciollulare per chattare simis). Allora perché? Però chissà.
Aldo Palazzolo e Fabio Iemmi 
Photographer Credits  - Fabio Sgroi


Inaugurazione mostra "I Santissimi" 
Photographer Credits  - Fabio Sgroi

Photographer Credits  - Alberto Sipione

"I Santissimi". Allo spazio Workout Pasubio di Parma, la mostra di Aldo Palazzolo e Fabio Iemmi, visitabile fino al 19 febbraio 2016. 

 

Tre aggettivi che ti rappresentano, o ti definiscono.
Psico-Logico, Psico-Panico, Psico-Penico.
Qual è il tuo motto?
Il meno è il più.

Photographer Credits  - Jean P. Laurent

Ed il tuo vizio preferito? O hai solo virtù?
La pigrizia. Giornate beate a letto senza levarmi. 
Lì mangiolavoroprogettoinseguosegniper sognibruciofrontiere (canaglia, mi ripeteva la mia vecchia-giovane ziasaggia, ma ’cchi nun fusti vattiato? Ma unni vo iri ’ccu ssà testa?!). 
La virtù è il presupposto della vita beata ed io mi sento meglio come cittadino del mondo onirico; ebbi poi la fortuna di essere nominato Felice nel secondo nome quindi: aldo (alto), felice, palazzolo (posto in alto). 
Cosa chiedere di più?
 

Che cos’è per te “essere alchemico”? 
La mitologia e l’alchimia, cercano di costruire, in un modo pre-scientifico, un contesto globale. Più esattamente l’alchimia è il tentativo di capire il mondo per immagini, al di là della scienza: è quello che tenta di fare anche l’artista che cerca collegamenti sconosciuti. La mia ricerca alchemica si dirige verso la fisicità dell’acqua, del fuoco, del tempo, i tre elementi fondanti il linguaggio fotografico e nell’esercizio della mia inquietudine esistenziale: nel rifiuto di delimitarmi, rassegnarmi, stabilirmi. Nella libertà assoluta (e terrorizzante) di una mutabilità continua, di una precarietà minacciosa; nel non voler essere lineare, prevedibile, afferrabile: la disciplina della ricerca significa, per me, fare una scelta. Scegliere di assumermi la responsabilità della mia individualità nei confronti dell’industria delle greggi, di seguire la mia strada, anche se non convince gli altri o peggio, disturba, di fuggire l’omogeneità anche a prezzo della solitudine. Scegliere di esprimere le differenze, e di esserne fieri. L’inquietudine come motore di vita, come perseguimento palpabile di me stesso, cioè del mondo, del tutto, attraverso la cellula più piccola, più insignificante, dell’io. Ci sono ancora infiniti modi di dare forma alle apparizioni dei folletti del mondo in attesa che qualcuno alzi lo sguardo e dia visione alle possibilità in esso latenti. 

"Liquid Light", Allegra Chiang

"Liquid Light", Rudolf Nureyev


"Liquid Light", Sean Scully


Qual è la tua più grande paura?
Non ho grandi paure per me ma per le persone che amo. Gioco con la morte da morto e spesso ne esco con una resurrezione. Al momento, visto che mi sento ancora vivo, come suggeriva Manlio Sgalambro, mi sento a-mortale. Vorrei evitare la sofferenza o di ridurmi a un carciofo, questo sì. Per il resto, chi morrà, saprà. Il mistero del dopo eccita, ma ‘u tempu cc’è’. 

 Aldo Palazzolo a Siracusa.
© 2016 Maria Pia Ballarino 

Cosa fa Aldo quando non è “Fotografo”?  Come trascorri i tuoi giorni, e, soprattutto, le tue notti?

Il quotidiano comprende la cura del giardino (compresa la zappa), le relazioni pubbliche (per mezzo del web, ahimè) la vita di relazioni con le persone amate, gli amici.

'La notte è fatta per amare', cantava qualcuno tempo fa, e anche, 'la notte porta consiglio', assicurava un altro: giusto.
Per me la notte è soprattutto il tempo magico dell’abbandono: il corpo si immerge con fiducia nel mistero dello spirito che viaggia verso l’ignoto. 
E in certe notti fortunate può capitare il dono dell’incontro con la coscienza cosmica, l’intima comunione col tutto, il vibrare all’unisono con una vibrazione sottilissima, impercettibile, che non appartiene ai sensi, che sta al di là di essi, fuori dal corpo, nella coscienza dell’assoluto.

Aldo Palazzolo a Bibbiena.
© 2014 Roberto Steve Gobesso 





Perché perseveri, incessante specchio?
Perché, fratello misterioso, replichi
ogni gesto che compie la mia mano?
Perché nell'ombra il sùbito riflesso?
Sei l'altro io del quale parla il greco

e mi bracchi da sempre. Nel nitore
dell'acqua incerta o del fermo cristallo
mi cerchi e non mi salva essere cieco.
Sapere che ci sei e non vederti
ti aggiunge orrore, sortilegio che osi
accrescere la somma delle cose
che siamo e che ci assediano il destino.
Quando morrò, tu copierai un altro
e dopo un altro e un altro e un altro,
e un altro...


Jorge Luis Borges - Allo specchio -

Aldo Palazzolo -
© J.L.Borges
              
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