GALLERIA CIVICA MUSEO DI BASSANO DEL GRAPPA | 2 SETTEMBRE ORE 18
Spazio espositivo
Spazio espositivo
Museo Civico | Piazza Garibaldi 34| Bassano del Grappa (VI) | T 0424 519901 / 519904
Titolo dell'evento
PAINTINGS. PERCORSI NELLA PITTURA CONTEMPORANEA
DA UNA COLLEZIONE PRIVATA
FINISSAGE DELLA MOSTRA
2 SETTEMBRE ORE 18
Abstract di presentazione
Abstract di presentazione
I Musei Civici – Assessorato alla Cultura della Città di Bassano del Grappa annunciano la chiusura della mostra “Paintings. Percorsi di pittura privata da una collezione privata”, esposizione inaugurata lo scorso 10 giugno che raccoglie oltre sessanta opere pittoriche di arte contemporanea provenienti da un’unica collezione privata. In occasione del finissage, che si terrà sabato 2 settembre 2017 alle ore 18, il Museo Civico presenta al pubblico il catalogo che raccoglie l’intera collezione di Antonio Menon.
Orari di apertura
ORE 18
Biglietto
ingresso libero
Orario del vernisage
ORE 18
Orario del vernisage
ORE 18
Catalogo
Sabato 2 settembre 2017 alle ore 18 il Museo Civico presenta il catalogo monografico dell’intera collezione Menon “Paintings 1”, edito da ZeL Edizioni, con testi di Emanuele Beluffi, Camillo Langone, Alessandro Riva. Il ricavato della vendita sarà devoluto alla Fondazione Città della Speranza di Padova, la Onlus che persegue la finalità di sostenere lo studio, la ricerca scientifica, l'attività didattica e l'assistenza nel campo delle patologie oncoematologiche pediatriche.
Patrocini
Assessorato alla Cultura della Città di Bassano del Grappa
Artisti
Giorgio Albertini, Paul Beel, Greta Bisandola, Danilo Buccella, Alessandro Busci, Saturno Buttò, Angelo Davoli, David De Biasio, Giovanni Frangi, Ettore Frani, Giovanni Gasparro, Alfio Giurato, Jonathan Guaitamacchi, Federico Guida, Maurizio L’Altrella, Magdalena Lamri, Andrea Martinelli, Matteo Massagrande, Harding Meyer, Tommaso Ottieri, Sergio Padovani, Alessandro Papetti, Marco Petrus, Luca Pignatelli, Alejandro Quincoces, Mauro Reggio, Filippo Robboni, Eric Serafini, Chiara Sorgato, Marco Tamburro, Walter Trecchi, Santiago Ydanez
TESTO DI PRESENTAZIONE/CRITICO A CURA DI EMANUELE BELUFFI
Possedere un quadro
«Tu hai mai voluto possedere un quadro? Intendo possederlo fisicamente». Non poteva esserci contesto migliore dell’inaugurazione di una mostra qualche anno fa per una domanda “da pittore” a un allora neofita delle vernici.
Non rivelerò il suo nome, confidando che un giorno il suddetto domandante rientri nella collezione di Antonio Menon: di fatto, quel che veramente conta qui è il significato del rapporto che uno realizza con l’opera d’arte, un rapporto che in questo caso specifico poco o nulla ha a che vedere con le corbellerie intellettuali di cui librerie e scaffali di gallerie e bookshop di musei sono pieni e che fanno la fortuna di non pochi secchioni annoiati da se stessi.
Siete liberi di rompervi la testa con le disquisizioni professorali sulla fantomatica “esperienza estetica” e sull’aiuto non richiesto per capire cosa ha veramente dipinto Bacon, tutto questo grazie alle sofisticherie cresciute nell’etere del cervello di chi pensa di aver scoperto il sacro Graal guardando un suo quadruccio: chi bercia in termini astratti intorno alla pittura, la più pornografica della arti visuali, non è un critico, non è un amante e non è nemmeno un turista della pittura, ma un facchino travestito da lord.
Un grande reporter, il compianto Egisto Corradi, era solito dire che un buon giornalista è uno che si consuma tutta la suola delle scarpe e a mio modesto parere lo stesso concetto vale per gli aficionados dell’arte: hai voglia a pontificare di pittura standotene a capo chino sul desk mentre il mondo là fuori pullula di grandi mostre e mostriciattole, puzza di olio e trementina, colore, sudore e fiato corto, coefficienti di prezzi, sputtanamenti, grandi successi e meste capitolazioni, bestemmie, incomprensioni e felicitazioni, soldati e puttane (no, questi no), il risultato è lo stesso di un generale in pantofole che discetta di scenari di guerra, nel senso che ti perdi tutto e non ti accorgi che le tue dotte fantasie vagolano nell’universo dell’inutile.
Ho detto che la pittura è pornografica e questa può sembrare una novità in aggiunta a quello che invece sanno tutti (ma proprio tutti), ovverossia la sua intrinseca connessione con l’alchimia e con la cucina (entrambe da intendersi in senso vero e non figurato, i più grandi furono e sono trafficanti d’alambicchi e master chef), ma in realtà questo riferimento osé perde molto del carattere provocatorio fintantoché lo si intenda, questo sì, in senso figurato: possedere un quadro significa realizzare un rapporto intimo che diventa pubblico in occasione di un’esposizione, ma che resta sempre e invariabilmente intimo, dal momento che nessuno, forse nemmeno noi stessi, sa che cosa passi per la testa quando siamo affascinati da un quadro, o quando ci mettiamo a piangere di fronte ad esso.
Forse il meccanismo è lo stesso del commercio sentimentale fra persone, nel bene ma anche nel male (il miglior trattato di pittura è un romanzo recente dello scrittore Michel Houellebecq, La carta e il territorio).
Ho detto “sentimentale” e non per caso, perché il rapporto con un quadro è di tipo sensibile, magari non carnale, ma sicuramente tale da coinvolgere passioni e desideri ed è questa la ragione (una fra le più varie ragioni, nessuna delle quali ha tuttavia a che fare con la geometria, le scorribande dei filosofi e le dichiarazioni dei soloni della pittura) che ti spinge a possedere quel quadro.
Poi, certo, c'è la sindrome di Stendhal, ci sono le annotazioni sul Sublime e le dispute sulla Bellezza, tutto molto interessante, ma solitamente chi ne parla non è solito far follie davanti a un quadro e di lui/lei si direbbe sei «noioso/a».
Viceversa il collezionista d'arte (ma anche l'acquirente una tantum di un'opera) è un benefattore dell'umanità, perché il suo gesto, anche se privato e individuale, si riverbera nello spazio e nei secoli e diventa condivisibile e replicabili.
Di fatto (perché di bello c'è questo), una collezione che si rinnova (ma anche un acquisto di una sola opera in tutta una vita) è un beneficio per tutti.
E, di rimando, tutti si sentono importanti.
Ma, come per ogni regola, vi sono le relative eccezioni: in Italia abbiamo avuto un imprenditore raro e illuminato, quell’Adriano Olivetti così attento al benessere e alla crescita culturale di ognuno dei “suoi” lavoratori, un imprenditore che in un certo senso voleva venire dopo di loro. Fatte le debite proporzioni fra contesti diversi, lo stesso tipo di "attitudine" mi pare di aver riscontrato nel collezionista Antonio Menon, quando davanti a un indimenticato piatto di linguine al nero di seppia mi ha confidato la sua volontà di inserire nel catalogo della mostra TUTTE le opere della sua collezione, anche quelle non esposte, perché ognuna di esse è importante, unica ed irripetibile.
Detto da uno che ha voluto titolare la mostra Paintings, non in ossequio alla lingua internazionale della Perfida Albione, ma perché "paintings" è la prima parola che lui immette nel motore di ricerca quando è incuriosito da un artista.
Perché, come dicevano gli Antichi, "sic transeat gloria mundi" e alla fine ne resterà sempre e solo uno: l'artista, non necessariamente con le pezze al culo, ma magari anche quasi benestante, senza il quale questa baracca che noi tutti conosciamo andrebbe a catafascio.
L'unico che, legittimamente e senza tema di smentita in mezzo al foro dell'arte, possa alzarsi e profferire il giuramento «io ero, sono e sarò sempre». Insieme alle collezioni, of course.
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