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martedì 30 luglio 2024

GLI EGIZI E I DONI DEL NILO. Per tutta l’estate e fino ad inverno inoltrato, la mostra del Museo Egizio, attraverso vasi, stele, maschere, amuleti e papiri, presentata da Fondazione Villa Bertelli e Comune di Forte dei Marmi.

 


GLI EGIZI E I DONI DEL NILO
Una mostra del Museo Egizio presentata da Fondazione Villa Bertelli e Comune di Forte dei Marmi

(Accrediti: info@csart.it)

Apertura al pubblico dalle ore 20:00
Alle ore 21.30, in Piazza Garibaldi, è prevista la conferenza gratuita di Christian Greco dal titolo Il Museo Egizio a duecento anni dalla sua nascita.



La storia millenaria dell’antico Egitto in mostra a Forte dei Marmi (LU), attraverso 24 preziosi reperti provenienti dal Museo Egizio di Torino. Unica esposizione organizzata in spazi esterni al Museo nell’anno del bicentenario, la mostra sarà allestita dal 1° agosto 2024 al 2 febbraio 2025 al Fortino Leopoldo I, che si conferma luogo d’arte e cultura.

“Gli Egizi e i doni del Nilo” nasce dal rapporto instaurato dalla Fondazione Villa Bertelli e dal Comune di Forte dei Marmi con il Museo Egizio, settimo museo più visitato in Italia e seconda realtà nel mondo dedicata alla civiltà nilotica, che quest’anno celebra il suo bicentenario con un ricco programma di iniziative, di cui anche la mostra di Forte dei Marmi fa parte.

L’inaugurazione si terrà giovedì 1 agosto alle ore 18.00, alla presenza del sindaco di Forte dei Marmi, Bruno Murzi, dell’assessore alla Cultura e al Turismo, Graziella Polacci, del presidente di Villa Bertelli, Ermindo Tucci, del direttore del Museo Egizio, Christian Greco, e del curatore e coordinatore scientifico delle mostre itineranti dell’Egizio, Paolo Marini. Alle ore 21.30, in Piazza Garibaldi, è prevista la conferenza gratuita di Christian Greco dal titolo Il Museo Egizio a duecento anni dalla sua nascita. Giovedì 1° agosto la mostra sarà accessibile al pubblico con orario 20.00-24.00.

Per tutta l’estate e fino ad inverno inoltrato, residenti e turisti potranno approfondire le arti, le tecniche, le professioni e i materiali utilizzati della grande civiltà sviluppatasi sulle rive del Nilo. Un percorso di visita pensato per tutti – adulti, famiglie, bambini e ragazzi – con visite guidate e laboratori didattici riservati alle scuole di ogni ordine e grado. In preparazione anche una speciale audioguida, con la voce dello scrittore fortemarmino Fabio Genovesi.

La mostra intende – dichiara Christian Greco sollecitare la curiosità, illustrando la complessità di quello che presentiamo. Gli oggetti esposti ci parlano di cultura funeraria, non perché gli Egizi fossero ossessionati dalla morte. Noi conosciamo la loro cultura materiale principalmente per aver scavato in necropoli e questa è la nostra principale chiave di accesso alla cultura dell'antico Egitto. Il racconto che facciamo qui, grazie ad un approccio prosopografico, vuole invece presentare le persone, oltre l’oggetto. Sono quindi felicissimo che, oltre coloro che potranno visitare la mostra d’estate, la comunità si possa appropriare di questa esposizione e la possa utilizzare per capire come quella memoria materiale, che proviene da un luogo distante, in realtà predetermini chi siamo noi oggi e ci proietti in quest’ottica mediterranea, dove la civiltà nilotica ha avuto un ruolo fondamentale”. 

“Gli Egizi e i doni del Nilo” propone un viaggio nel tempo, dall’Epoca Predinastica (3900 - 3300 a.C.) all’età greco-romana (332 a.C. - 395 d.C.), attraverso vasi, stele, maschere, amuleti e papiri: reperti di grande valore provenienti dai depositi del Museo (l’Egizio custodisce 40mila oggetti, di cui 12mila in esposizione), pertanto normalmente non visibili al pubblico e, in alcuni casi, mai esposti prima.

Immagine guida dell’esposizione è una maschera funeraria di età romana (30 a.C. - 395 d.C.) proveniente da Assiut: una riproduzione idealizzata del volto del defunto, realizzata in cartonnage (materiale simile alla cartapesta) e destinata alla protezione magica della mummia.

Tra i reperti in mostra, un tipico modellino di imbarcazione dei corredi funerari del Primo Periodo Intermedio (2118 - 1980 a.C.), in legno stuccato e dipinto, decorato con la coppia di occhi udjat a protezione dello scafo. Queste imbarcazioni in genere rappresentano il viaggio del defunto verso la città sacra di Abido. Dalla Galleria della Cultura materiale del Museo Egizio proviene invece il set completo di vasi canopi in alabastro di Ptahhotep, vissuto durante il Terzo Periodo Intermedio (1076 - 722 a.C.). I 4 vasi sono chiusi da coperchi che ritraggono i Figli di Horus, con teste zoomorfe, utilizzati per conservare separatamente gli organi del defunto.



Il percorso espositivo sarà, inoltre, arricchito da infografiche e installazioni multimediali, con approfondimenti storico-scientifici sui reperti e sui diversi periodi storici, e da due significative riproduzioni provenienti dal Museo Egizio – la statua monumentale di Ramesse II e il sarcofago di Butehamon – per offrire testimonianza di reperti inamovibili, ma di grande interesse storico e artistico.


All’esterno del Fortino, la riproduzione della statua di Ramesse II inviterà i passanti ad accedere al museo. Realizzata in vetroresina in scala 2:1, l’opera costituisce un modello di bellezza assoluto per l’arte Egizia, paragonata dal padre dell’egittologia moderna, Jean-François Champollion, all’Apollo del Belvedere.

Il terzo piano del Fortino sarà, invece, riservato al sarcofago di Butehamon, per consentire ai visitatori di prendere idealmente parte allo studio scientifico del reperto, accedendo a contenuti multimediali. Riprodotto in scala 1:1 a partire dai rilievi condotti dal Politecnico di Milano e stampato in 3D, il sarcofago offre una concreta testimonianza di come i dati invisibili raccolti durante l’analisi di un reperto possano trovare una manifestazione materiale. Un sistema di mapping consentirà, infatti, di raccontare in modo dinamico come il manufatto fu concepito, costruito e successivamente restaurato. 

Patrocinata dalla Regione Toscana, dalla Provincia di Lucca e dal Comune di Torino, l’esposizione è realizzata con il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, MAG Broker di assicurazione, Profumerie Bacci, PiùMe, Starhotels.




SCHEDA TECNICA

Gli Egizi e i doni del Nilo

Fortino Leopoldo I
Piazza G. Garibaldi 9A, 55042 Forte dei Marmi (LU)
1° agosto 2024 – 2 febbraio 2025
Inaugurazione su invito: 1° agosto, ore 18.00
Conferenza di Christian Greco aperta al pubblico sul tema Il Museo Egizio a duecento anni dalla sua nascita: 1° agosto, ore 21.30, Piazza Garibaldi
Apertura al pubblico dal 1° agosto con orario 20.00-24.00
Orari di apertura dal 2 agosto al 15 settembre: 10.00-13.00 e 17.00-24.00, chiuso il martedì e il 28 agosto; successive aperture disponibili sui siti web www.villabertelli.it e www.visitforte.com Ingresso intero Euro 10, ridotto Euro 5, disponibili gratuità, biglietto con visita guidata Euro 12 Visite guidate e laboratori per le scuole su prenotazione: egizialforte@gmail.com 

Il Fortino è aperto al pubblico, dal 2 agosto al 15 settembre 2024, nei seguenti giorni e orari: 10.00- 13.00 e 17.00-24.00, chiuso il martedì e il 28 agosto; il dettaglio delle successive aperture è disponibile sul sito web https://www.villabertelli.it/gli-egizi-e-i-doni-del-nilo/. Ingresso intero Euro 10, ridotto Euro 5, disponibili gratuità. Sono previste visite guidate per gli adulti e per i ragazzi, attività didattiche e percorsi specifici per le scuole.

INFORMAZIONI

Ufficio Informazioni Turistiche

T. +39 0584 280292 forteinfo@comunefdm.it

www.villabertelli.it www.visitforte.com www.museoegizio.it 


UFFICI STAMPA

Ufficio stampa Villa Bertelli

Gessica Nardini | M. +39 347 6422936 | ufficiostampa@villabertelli.it

Ufficio stampa Comune di Forte dei Marmi

Maria Tucci | M. +39 338 4713753 | mtucci@comunefdm.it

CSArt – Comunicazione per l’Arte

Chiara Seri | T. +39 0522 1715142 | M. +39 348 7025100 | info@csart.it | www.csart.it

Ufficio stampa Museo Egizio

Sabina Prestipino | M. +39 333 9534232 | press@museoegizio.it | www.museoegizio.it 

IERATICO ERITICO. Alla galleria L’A/TELIER di Modica, in mostra le opere di soggetti ieratici di Sergio Poddighe e le presunte eresie di Raffaello De Vito, con testo critico a cura di Giovanni Carbone.

 


IERATICO ERITICO

Mostra 
di 

Sergio Poddighe - Angeli Offesi 
e
Raffaello De Vito -  Nuovi Martiri

Con testo critico a cura di Giovanni Carbone

2 agosto - 1 settembre 2024
Vernissage: Venerdì 2 agosto alle ore 20:00

L’A/TELIER - Modica (RG)


Sarà inaugurata venerdì 2 agosto 2024 alle ore 20:00, presso la galleria L’A/TELIER di Modica, via Pizzo n.42, la bipersonale di Sergio Poddighe con Angeli Offesi e Raffaello De Vito con Nuovi Martiti, a cura di Cristina Napolitano e con testo critico a cura di Giovanni Carbone. La mostra sarà visitabile fino al 1 settembre 2024.

Difficile metter insieme artisti differenti quando si concepisce una mostra, la collettiva è straniante, spesso non raggiunge obiettivi narrativi comuni, nemmeno li sfiora, sono solo immagini alle pareti. Talora si sceglie il tema, l'artista lo esegue, certo con la propria sensibilità, ma, appunto, lo esegue, non lo partorisce, non è roba sua. Rarissimo vedere espressioni artistiche che si completano, pare autentico miracolo trovarne maturate a distanza, da esperienze lontane, storie diverse, mestieri – nell'accezione più ampia del termine – a tratti persino alternativi. 

Le biografie artistiche di Sergio Poddighe e Raffaello De Vito sono talmente altre da non presumere che si sia realizzato il «miracolo» della convergenza evolutiva, che i due abbiano potuto concepire produzioni artistiche procedendo parallelamente, trovando una sintesi narrativa che si esprime in un unicum sorprendente. I due dialogano, intrecciano una dialettica serrata, paiono completarsi in un gioco di rimandi che pare studiato e che in realtà è idem sentire. Consapevolezza personale – il personale è politico - che trova vie di fuga nell'espressione creativa, procede sino a quella sorta d'imbuto dove le produzioni si toccano, si completano, si intrecciano. «Ieratici, Eretici» non è una collettiva, nemmeno una doppia personale, è una mostra sola con due volti che si guardano, che si cercano producendo alchimie preziose, si avviluppano in un complexus mai scontato. 
Come si dice in questi casi, cominciamo dal principio, da ciò che fu il verbo e poco importa se dai soggetti ieratici di Sergio Poddighe o dalle presunte eresie di Raffaello De Vito

Sergio Poddighe crede in una sorta di connaturata dimensione angelica dell'essere umano, una propensione a librarsi in volo. L'angelo lo fa, l'infernale precipita, sceglie una direzione differente per esprimere se stesso. Il volo è il sogno, l'avere una prospettiva altra, ricongiungere il proprio sguardo con l'infinito. La metafora dell'angelo è perfetta, ma quanto c'è davvero di sacro nel desiderio di sollevarsi da terra, e quanto invece non è un desiderio naturale di fuga, come fu per Icaro, forse più come Dedalo che pretese un'ascesa ancor più completa? È nella natura umana spingersi oltre, valicare confini asfittici, tracciati per limitare l'istinto del vagare per la terra, la libertà di movimenti che ha spinto interi popoli ancora più in là, sino ad ogni anfratto conosciuto, come se approdassero dalle nuvole in una dimensione altra. E quanto quel volo è interrotto, consumatosi nella voglia di oltre che è nel fanciullo, proibito dalle catene della convenzione? Il sogno si snatura, le ali divengono organo vestigiale, come una coda mancata, il cenno d'artiglio d'uno smalto sintetico su unghie laccate. Il resto è progressiva amputazione, la perfetta rappresentazione della perdita d'umanità nel cerchio stretto del concreto, l'atrofia dell'organo del volo coincide con quella del desiderio primigenio, conduce all'asfittico del quotidiano. 


I lavori di Poddighe sono la rappresentazione del contesto dei desideri umani e dell'uomo stesso come soggetti esclusivi dell'apparire, metafora della parzialità dell'essere. L'uomo, dunque, è entità incompleta, mutilata, che rincorre l'effimero come unica vacua speranza compensativa. Il volo del bambino lascia spazio al vuoto dell'adulto. 
E questi vuoti l'umanità riempie creandone di nuovi, rincorre le proprie ansie costruendone di ulteriori, mai definitivamente consapevole del proprio progressivo allontanamento dalla stessa concreta condizione umana. Proprio sulla condizione umana le opere suggeriscono una riflessione profonda, una riflessione ed un'analisi che possono essere affrontate da più punti di vista, poiché l'accettazione della complessità, quindi delle diverse angolazioni dell'osservazione, è l'unico strumento attraverso cui è possibile costruire una prospettiva di ricomposizione dell'essere umano. Mentre questa ricomposizione passa proprio dal tornare indietro all'organo vestigiale, la sua definitiva riscoperta come condizione salvifica. Al contrario l'eterodirezione dei comportamenti è il vicolo stretto della disgregazione, dell'annichilimento, il martirio di soggetti comuni che hanno semplicemente rinunciato ad essere, non hanno osato la fuga tra le nuvole, non sono più angeli fanciulli, levati in alto dal desiderio primordiale dell'infinito vertiginoso. 


Poddighe ci racconta questo mancato ricongiungimento con gli strumenti che gli sono più congeniali, un surrealismo post litteram che ammicca alle cose di Breton, alle copertine stralunate delle Mothers of Invention, si esprime con caratteri originalissimi, si riconosce nell'uomo qualsiasi, nel giovane, nella donna, nel vecchio, che consumano il proprio doloroso disumano nell'anaerobico quotidiano. I soggetti di Poddighe sono talmente comuni da risultare invisibili, eppure mostrano senza pudore le proprie parzialità, mancano del doveroso silenzio della consapevolezza della propria drammatica condizione, sostituita dalla disperazione del vacuo apparire. 
E quel martirio di cui narra è dentro il dogma d'una società obbediente, il dettato è preciso, la prospettiva esatta. È il processo educativo che conta, le masse obbediscono, il martirio delle moltitudini invisibili è scelta imposta, cultura dell'abbandono della propria emancipazione, la salvezza è altrove, non è di questo mondo. Il volo avviene solo dopo che le spoglie mortali si sono consumate nella loro essenza vitale.


Raffaello De Vito individua uno dei più potenti strumenti di coercizione culturale nel martirologio, lo trova nei «santini», il promemoria formato tascabile che indica la strada, l'unica percorribile, il sacrificio estremo come unica prospettiva di salvezza. Raffaello se ne accorge, interviene su quelli, li riarticola e sostituisce l'educatore con l'educato, il soggetto diviene moltitudine dimenticata, non è più venerabile santissimo, è quotidiano sterminio. L'idea è quella d'un fake che amplifica la natura mantrica dell'immagine originale, in cui il soggetto poco importa chi sia, è fondamentale che dia al dolore ed alla sofferenza una componente salvifica che seppellisca l'istinto primordiale.
Non c'è passaggio umano, cambiamento d'una qualche fatta che non abbia preteso martiri, vittime sacrificali. Il santo è sempre – o quasi – martire, il miracolo è la prospettiva che scaturisce da quel martirio. Ed il martirio è una sorta d'espiazione per una condizione che è già di per sé sacrificale, appartiene agli ultimi. La devozione più profonda, pure nella religiosità archetipica, nella sua simbologia, è la rievocazione del sacrificio, il martirologio è punto di riferimento della fede, in realtà nasconde prospettive di trasformazione, di subalternità al dettato.


I Santini, tweet ante litteram, che raccontano vicende di sopraffazione, di martirio, appunto, hanno rappresentato per tantissimi una sorta di protezione dalla stessa tragedia. In realtà non ne hanno nascosto affatto l'evenienza ch'essa si presenti, nel qual caso appare ineluttabile, premessa per una vita altra di compenso. Ogni categoria sociale ha il proprio riferimento nel santo che ha fatto da parafulmine, ha pagato per i posteri, in qualche modo li ha liberati dal patirne le stesse pene. Ed è protezione semplice, a portata di borsetta, portafoglio, l'avvertimento che il cambiamento può avvenire solo attraverso il sacrificio, con l'esempio. Hanno iconografie apparentemente semplici i santini, al tempo ricercate, ché ogni dettaglio non appare superfluo, è narrazione atipica, semplifìcata ma esaustiva. Il punto è che la categoria degli ultimi, in definitiva dei martiri, non pare esaurirsi nella iconografia classica. Raffaello De Vito coglie l'enorme portata simbolica della trasmissione del messaggio sacrificale che era nel «santino», ne amplia la rappresentazione all'infinita platea degli ultimi. La sua è ricerca anche fisica, negli ambienti più consueti di quella presenza, chiese, monasteri e negozi di ecclesiastica. A quei soggetti ridisegna i contorni e non v'è in questo alcuna volontà blasfema, al contrario coglie la formidabile dirompenza di immagini iconiche di farsi mappe concettuali per veicolare i nuovi martirologi. Cambia i volti dei santi, le loro effigi classiche, i protettori degli ultimi lasciano solo impronte delle proprie gesta, cedono il posto alle nuove vittime della società involuta, fanno spazio a nuove immaginette che, come le vecchie, presumono d'avere capacità esorcizzanti il declino d'umanità private della propria stessa essenza.


La tecnica che Raffaello usa è raffinata, egli è conoscitore abilissimo di grafiche, fotografie ed immagini. Subordina le sue competenze ad un processo di riscrittura autenticamente «umano», trasforma il mito religioso in quotidianità, compie il passaggio inverso rispetto al canonico: il santo, nella iconografia classica, ha un nome, è la parte per il tutto, s'identifica nell'ultimo che si sacrifica per il resto d'intorno, per dare una possibilità ancora col proprio sacrificio, con la propria testimonianza ed opera, a chi soffre condizioni di privazione, di vessazione, di prevaricazione, sfruttamento, violenza; in epoche in cui l'esempio virtuoso pare ombra fuggente, quasi violazione di norme comportamentali non scritte ma esattamente codificate, nei santi di Raffaello è la pletora degli ultimi che parla in prima persona, si fa soggetto collettivo che produce voce corale. Il martire non è più uno, si fa moltitudine, schematizzata nell'immagine mutuata dalla tradizione. Ed il martirologio mostra la sua vera essenza, quella della sopraffazione legittima, anzi auspicabile per il mantenimento d'una condizione gerarchica, in cui il potere si legittima nella disfatta degli ultimi. Questa di Raffaello è operazione coraggiosa, straniante come poche, in divenire giacché i nuovi martiri sono elenco che non pare abbia fine, donne vittime di femminicidio, di regimi feroci, vittime dei cambiamenti climatici, migranti sfruttati, bambini sotto le bombe, preda di pedofili, ma anche schiavi delle nuove tecnologie, e poi lavoratori che muoiono sul posto di lavoro, medici ed infermieri che hanno contrastato il Covid e che da eroi divennero nessuno. Ognuno può aggiungerne altri, quelli che gli pare, ché ogni ladrone ha la propria devozione.





INFO E CONTATTI


L’A/TELIER
NON LUOGO DI SITUAZIONI E CONTEMPORANEITÁ

Via Pizzo 42, 97015 MODICA
Alberto Sipione
M. +39 333 7296148 - Wathsapp 0041788807174 - info@lateliermodica.it



dal piccolo al grande, dal mini al maxi, dal micro al macro. Alla Galleria Orizzonti Arte Contemporanea di Ostuni, la collettiva d'impronta femminile di Flavia Bucci, Virginia Carbonelli e Daniela Daz Moretti, a cura di Azzurra Immediato.

 


dal piccolo al grande, dal mini al maxi, dal micro al macro

Mostra collettiva
di
Flavia Bucci, Virginia Carbonelli e Daniela Daz Moretti

A cura di Azzurra Immediato

9 agosto - 4 settembre 2024

Inaugurazione: Venerdì 9 agosto alle ore 20:00

Reading poetico della scrittrice e poetessa Mara Venuto


Galleria Orizzonti Arte Contemporanea - Ostuni (BR)

 


La Galleria Orizzonti Arte Contemporanea di Ostuni inaugura, venerdì 9 agosto 2024 alle ore 20:00 l’ultima proposta espositiva della stagione estiva all’interno della project room, una collettiva al femminile che pone in dialogo le opere di tre artiste: Flavia Bucci, Virginia Carbonelli e Daniela Daz Moretti. La mostra, "dal piccolo al grande, dal mini al maxi, dal micro al macro," a cura di Azzurra Immediato, intende esplorare tre differenti visioni in un vivido dialogo tra dimensioni. Il progetto è un invito a rintracciare nella collettività simboli e segni incisi che ci riuniscono all’origine di un’unica trama esistenziale.   

Attraverso le parole della curatrice entriamo in questo sensibile ensemble in cui punti, linee e superfici si restringono per poi dilatarsi conducendo lo sguardo e il senso oltre il limite del visibile.

"Flavia Bucci celebra il tempo come forma di poesia visiva, mediante cui gesti rituali trasformano lo spazio in una dimensione contemplativa. Attraverso un dialogo sottile tra l'effimero e l'eterno, le sue opere guidano in un viaggio attraverso i cicli della vita e della percezione umana, rivelando la bellezza nascosta nel transitorio. 


Flavia Bucci


Virginia Carbonelli, con la sua grafia cromatica, crea un ponte tra pensiero e materia. Le sue opere non sono solo tracce visive, ma testimonianze di un dialogo silenzioso tra l'artista e il mondo, dove ogni segno e ogni linea rappresentano una riflessione profonda sull'essenza dell'anima e sulla memoria collettiva. 


Virginia Carbonelli

Daniela Daz Moretti plasma il concetto di trasformazione attraverso i suoi nidi di creta, riflettendo un ritorno alle origini e una ritualità personale che fonde materia e memoria. Ogni opera si fa simbolo della continuità tra passato e presente, invito a riconsiderare il significato del tempo e della crescita interiore.


Daniela Daz Moretti

Dal piccolo al grande, dal mini al maxi, dal micro al macro rappresenta una opportunità per immergersi nell'arte che sfida i confini, invitando il pubblico a riflettere e a esplorare le complessità dell'esperienza umana, seguendo il perimetro di quella geometria variabile che la galleria Orizzonti Arte Contemporanea reca con sé, definendo un invisibile ma sensibile spazio in cui insistono prospettive, pensieri, idee che ragguagliano sulla imprescindibile necessarietà del pARTicolare. 

Dai meandri atavici della Città Bianca alle dimensioni esplorate e mostrate dalle tre artiste, a segnare un percorso che pone il dettaglio come spazio di vita e, soprattutto, come varco di nuova esplorazione, priva di confini."



INFO E CONTATTI



GALLERIA ORIZZONTI ARTE CONTEMPORANEA 


Piazzetta Cattedrale (centro storico)  - Ostuni (Br)

Tel. 0831.335373 – Cell. +393488032506 - Email: info@orizzontiarte.it

www.orizzontiarte.it


Communication Manager: Amalia Di Lanno 

 


lunedì 29 luglio 2024

Eco dei Monti. All'Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, la mostra personale di pittura dell'artista cinese Xunmu Wu, a cura di Claudio Rocca, con l'introduzione di Cristina Acidini e l'organizzazione della MA-EC Gallery.

 

Eco dei Monti

 

Mostra personale 

di

 Xunmu Wu 

 

A cura di Claudio Rocca

La mostra sarà introdotta da Cristina Acidini


Patrocinio: Regione Toscana, Comune di Firenze, Accademia delle Arti del Disegno

Organizzazione: MA-EC Gallery

Progetto di: Peishuo Yang, Weizhen Jiang, Jiebao Liao


8 - 31 agosto 2024

Opening: Giovedì 8 agosto alle ore 18:00 


Accademia delle Arti del Disegno, Via Ricasoli 68, Firenze




Giovedì 8 agosto 2024 a Firenze, nelle prestigiose sale dell’Accademia delle Arti del Disegno, verrà inaugurata la mostra personale "Eco dei Monti" dell'artista cinese Xunmu Wu, a cura di Claudio Rocca.

 

L’esposizione, organizzata dalla MA-EC Gallery di Milano, gode del Patrocinio della Regione Toscana e del Comune di Firenze e conta oltre 30 lavori del maestro cinese, oli su tela, oli su ardesia e inchiostri su carta.

 

"Nella storia della pittura - afferma Claudio Rocca - così come della letteratura troviamo anime nomadi: Li conosciamo come artisti-viaggiatori o variamente come viaggiatori-artisti. Immaginiamo i primi a percorrere territori e solcare fiumi per trovare nuove profondità di ispirazione, laddove l’arte è lo scopo finale; i secondi piuttosto amano il viaggio in sé; dunque il viaggio rappresenta la mèta, destinato poi a diventare oggetto di pittura. Labile a tratti la differenza. Certo è che nella ricerca dell’artista cinese Xunmu Wu, il viaggio è diventato la manifestazione stessa del suo essere pittore."



Xunmu Wu, nato a Shangai nel 1947, dopo decenni di itinerari estremi nel cuore della Cina, ha scelto di rappresentare la natura nei suoi aspetti più selvaggi, sulle orme di tradizioni ancestrali, come interpretate da minoranze ancora testimoni di un patrimonio culturale in via di estinzione.

 

Attraverso una pittura astratta complessa e materica, di ispirazione informale, vengono evocati cieli e terre, leggende e fantasmagorie apocalittiche. Il gesto istintivo si rarefà nello scorrere del tempo della creazione e si materializza in elaborati strati di differente spessore, che si sovrappongono, elidono, accalcano l’uno sull’altro, fino a liberarsi in una linea, un grumo di colore, un’intuizione formale che si innalza. Appaiono dinamicamente zone di differente densità, ritmo, sonorità, come in una partitura musicale che pare dettata dall’urgenza dell’istinto, ma che ben poco concede all’improvvisazione. 




Grazie all’uso del colore e delle pennellate, l'artista ottiene così un effetto multidimensionale: sullo sfondo colori freddi che formano un contrasto con il giallo brillante, il rosso e il bianco, e danno all’opera un senso di movimento e di tensione.




Diversi appaiono gli inchiostri su carta: in primo piano si stagliano personaggi misteriosi, muniti di lunghe e minacciose grinfie, mentre ingaggiano una sarabanda furiosa, con le loro nere silhouettes sullo sfondo di scenari apocalittici, rappresentati da vortici di grigi diluiti che lasciano immaginare vallate e deserti spazzati da tempeste di venti furiosi.

Antiche leggende di quelle terre estreme si materializzano dunque nelle carte di Xunmu Wu, mescolandosi alla panica contemplazione della natura. Deserti e visioni fortemente evocativi, che suggeriscono spazi immensi, solitudine, nudità e distanza, ma anche quel remoto spazio interiore che nessun telescopio può raggiungere, nei suoi insondabili privatissimi misteri.



Il Maestro Xunmu Wu


Xunmu Wu è nato a Shanghai nel 1947. Ha vissuto 17 anni nel deserto del Gobi e nell'entroterra dei monti Tianshan, e questa esperienza ha avuto una grande influenza sulla sua arte, gioie e dolori della convivenza con la natura hanno  segnato la sua anima. Alla fine degli anni '80, durante un viaggio a piedi di sei anni, ha attraversato le zone montuose di confine dello Yunnan, Guizhou e Guangxi, raccogliendo e registrando le tracce culturali. Attualmente vive e lavora a Shanghai. 
Tra le sue mostre più recenti, 2024 #Artforsustainability, Firenze, 2023 Starry Sky of Shepherds al Museo Scalvini di Desio, 2023 Salon des indépendants, Art Capital, Grand Palais Éphémère, Parigi. Nel 2022 alcune sue opere vengono selezionate per mostre a Genova ed è vincitore del Fiorino d’argento al Premio Firenze 2022, 2022 Time Tunnel, a cura di Paolo Sabbatini, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, 2021 Fiabe Antiche, Shanghai, 2021 Present Art Festival, Desio. Nel 2023 Xunmu Wu entra nel CAM, il Catalogo dell’Arte Moderna, Editoriale Giorgio Mondadori di Cairo Editore. Nel luglio 2024 alcune sue opere vengono esposte alla Giulio Galgani Art Gallery di Pietrasanta.

 

 



INFO E CONTATTI



MA-EC Gallery 
Via Santa Maria Valle 2, Milano
Tel: +39 02 3983 1335 - Email: info.milanart@gmail.com

ORARI
Martedì-Sabato ore 10-13 e 17-19
Ingresso libero

 

venerdì 19 luglio 2024

Piotta in concerto a Parco Tittoni tra rap e cantautorato. Uno show che attraversa tutti i suoi 10 album di studio, e più di 25 anni di musica, con particolare attenzione all'ultimo lavoro 'Na notte infame.

 

PIOTTA


Nuovo album

'Na notte infame


Mercoledì 24 Luglio ore 21:30


Parco Tittoni 

Via Lampugnani, 62 – Desio (MB)


Euro 12 

Infoline 3398842707


'Na notte infame è il titolo del nuovo album del cantautore e rapper Tommaso Zanello alias Piotta, che presenterà dal vivo mercoledì 24 luglio al Parco Tittoni di Desio (MB). 

Uno show che attraversa tutti i suoi 10 album di studio, e più di 25 anni di musica, con particolare attenzione all'ultimo disco. 'Na notte infame, decimo lavoro di studio, prende tutta l'ispirazione dalla recente e prematura scomparsa del fratello maggiore Fabio. Con lui, apprezzato scrittore e saggista, ha firmato molti dei testi, e proprio la voce e i versi del fratello aprono la prima traccia. 'Na notte infame è un percorso emotivo in quel labirinto di sentimenti che è il rapporto tra fratelli


Attraverso le vicissitudini personali e generazionali di Tommaso e di Fabio, la voce di Piotta racconta le epoche che hanno segnato le loro generazioni. Dagli anni di piombo all'Italia campione del Mondo, dal boom dei ‘90 al crollo del Muro di Berlino, dalle controculture dei '70 fino alla nascita dell'Hip-Hop italiano. Il rap di Piotta si fa più introspettivo e consapevole che mai, nel disco come dal vivo. Un viaggio inedito per suoni e formazione, così che dopo l'album, è stato pubblicato da La Nave di Teseo il primo romanzo di Tommaso dal titolo "Corso Trieste", scritto a quattro mani con il fratello Fabio, proprio come il disco, che ne è la colonna sonora. 



Tommaso PIOTTA Zanello 
(Foto Alfredo Villa)


Uno spettacolo diverso, un viaggio che racconta il rapporto tra due fratelli tramite la musica, da quella dei cantautori (Rimmel di Francesco De Gregori e Serpico con i Tiromancino) al rock (WOT! con l'inglese Captain Sensible e A testa alta), dal funk (Troppo Avanti con l'amico Caparezza e Spingo io) al rap (Io non ho paura e La Valigia), incluso quello degli esordi ai tempi di Assalti Frontali, Villa Ada Posse e gli amici di crew Colle der Fomento e Cor Veleno ('Na Notte infame, La Forza che scorre, Ognuno con un sè, l'omaggio a Primo Brown). Da alcune sue storiche hit (La Grande Onda, Vengo dal Colosseo, 7 vizi Capitale) alle colonne sonore (Suburra, La Mossa del Giaguaro, Ciclico), fino agli ultimi singoli (Lode a Dio, Professore e Se se se se). Sul palco con Piotta il compositore Francesco Santalucia (piano, basso, percussioni), il polistrumentista Augusto AKU Pallocca (sax, synth, rap), Francesco Fioravanti (chitarra elettrica e acustica), Claudio Cicchetti (batteria e percussioni), accompagnati dai visual e dal sound engineer Cristiano Boffi.

 



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