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mercoledì 14 ottobre 2020

Alla Galleria Wikiarte di Bologna, in mostra le opere di Antonella Bertoni, Lean e Francesca Guariso. Presentazione a cura di Denitza Nedkova.

 


Mostre personali di

Antonella Bertoni

Lean

Francesca Guariso


Dal 17 ottobre al 29 ottobre 2020

Inaugurazione: sabato 17 ottobre ore 18:00


Presentazione a cura di

Denitza Nedkova



Galleria Wikiarte

Via San Felice 18, Bologna

Info e contatti

Mail: info@wikiarte.com - Tel:  0515882727

 www.wikiarte.com


Organizzare la pittura in forme ideali, rette e dunque corrette. Accostare queste forme geometriche in maniera serena ed armonica, senza pathos espressivo, senza pretesa suprematista, senza meticolosità costruttivista. Abolire la terza dimensione e ridurre i mezzi raffigurativi ai soli linea e colore. Nominare quale forma ideale il rettangolo perché in esso la linea è retta senza l'ambiguità della curva. In tal modo Antonella Bertoni conquista la sua indipendenza da convenzionali valori emotivi e, seguendo la linea costruttivista kandinskijana, realizza una pittura primaria e sensoriale. Si tratta di ciò che gli ultimi risultati neuroscientifici definiscono modello geometrico insito. Questo è un’innata capacità mentale – sita nel più arcaico e impulsivo emisfero destro – di scrutare l’ambiente e recepirlo secondo i criteri geometrici di principali e invariabili punti di riferimento – come gli alberi o le montagne in un paesaggio naturale o le strade e i palazzi in uno urbano – per essere in grado di orientarsi, muoversi e vivere in esso. Bertoni esprime esteticamente questo modello sottolineando, con l’armonia della tavolozza cromatica, la sua importanza vitale per la conservazione della specie Sapiens. Un atto antropologico quindi prima ancora che artistico in cui il talento immaginativo – dovuto sempre ai meccanismi interpretativi dell’emisfero destro – è parificato all’analisi scientifica. Pertanto i confini tra arte e scienze – saldamente mantenuti e rinforzati per almeno dieci secoli – cedono davanti a ricerche neuroestetiche come quella di Antonella Bertoni.

La superficie a maggior densità estetica: il volto. L’emisfero destro del cervello umano costituisce il "traduttore" del Self attraverso il riconoscimento del proprio volto e la distinzione dagli altri volti, essenziale per sentirsi localizzati in un corpo hic et nunc. Ma in che modo queste evidenze scientifiche si legano alla bellezza, all’arte? Tutto inizia nel 1820 con la scoperta della statua di Venere di Milo, eccellente esempio di un artefatto fortemente realistico che incarna la perfezione estetica dell'uomo, in cui colpisce una asimmetria facciale in base alla quale la linea centrale del volto risulta leggermente decentrata. L'osservazione di questa anomalia suggerisce all’anatomista Christoph Hasse (1886) di condurre il primo studio empirico il quale seguito di ricerche attualmente conferma una onnipresenza dell’asimmetria facciale in tutti gli esseri umani. L’artista bolognese Lean costruisce la sua narrazione visiva proprio su questa ideale imperfezione dell’estetica naturale. I suoi volti sono tanto un esercizio stilistico ecclettico – tra cubismo e simbolismo – quanto un’analisi morfo-genetica, fisio-gnosica di ciò che ci rende individui e individuabili: la nostra faccia. I colori contrastanti e a plat insieme ai volumi piatti e geometrico non fanno che svilupparsi intorno a un’asse perfettamente centrale che, in ogni opera dell’artista, segnala il confine tra destra e sinistra, tra sentimento e ragione, tra conforme e deforme. È questa tensione estetica che permette a Lean di instaurare sulla tela la stessa gravità permanente – anche se sempre instabile – che ci permette di essere presenti e dunque vivi.

L’evoluzionismo più aggiornato vede la bellezza come un indicatore di fitness, là dove ad esempio nella donna sono indicatori di fertilità due elementi: un particolare rapporto vita-fianchi e lo schema del fanciullo nel viso femminile.  Ecco spiegata subito in termini adattivi l'attuale ipervalorizzazione della componente estetica del fisico. In un’ottica darwinista, il sense of beauty dell'uomo è quindi un vestigio evolutivo, la traccia delle relazioni arcaiche tra i sessi, quando la scelta estetica aveva ancora il potere di dire la sua nel registro evolutivo. La sensibilità impulsiva di queste relazioni trapela da tutte le forme incise, dipinte o scolpite di Francesca Guariso. La superficie dell’atto creativo si gonfia – nonostante la trasparenza dei colori e la nitidezza dei tratti – in volumi sempre più tondeggianti, quale esasperazione dà forma ai livelli più elevati di emozioni – prima ancora che estetiche, carnali e sensuali – che assumono un’immagine cosciente trasformandosi in concetti di eccedenza quali il "bello" o il "sublime". Anche se solitamente l’esagerazione porta a un redundancy effect e dunque a un calo dell’effetto stimolativo, lo stimolo estetico – come nel caso dell’operato di Guariso – è immune alla ridondanza, perché basato su una salienza universale, preconcettuale e legata ai meccanismi di ricompensa di carattere evolutivo.

 

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