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martedì 25 ottobre 2011

ERIK SULLIVAN | ERA UNA CAREZZA D'ADDIO

Ph by MARTIN IMAN
“Cosa”, incalza, “cos'è che devo capire”.
La frase è la solita. E il modo e il contesto.
Anche quelli sono rimasti uguali al pari del fiato polveroso di questo vento marino di cui tu da sempre impazzisci e che ora agita le tende insieme, ora scompiglia i suoi capelli color petrolio, da gran canaglia, una specie di demonio... ora siede accanto a voi, già seduti, l'uno contro l'altra, di schiena.
“Guardami”, inizi, “io non sono una delle tante della tua età che seduci chissà dove, porti a letto e al mattino lasci in uno specchio mentre rifai la barba al visino. Uno specchio nero e mobile, uno specchio e milioni di persone invisibili. Luminose e aggrovigliate.”
Lo osservi, è un volgare trafficante di bellezza. Lo odi.

Ti guarda, sorride mentre cuce in due dita una carezza leggera sul tuo volto.
Alzato, indossa boxer che muovendosi sulle gambe marmoree suggeriscono l'idea della libertà.
“Tu”, continui, “faresti sesso anche sotto un bombardamento...”
Apre la porta della piccola pensione, ha pelle abbronzata e tesa dai bei polpacci fin su, su alla fronte spaziosa.
“Quindi, signora?”, nelle labbra pende una sigaretta mal fatta.

Taci.
Vi punge un attimo vuoto, poi la porta sbatte.
E' tutto inutile.
Poi, in seconda istanza, ti scorre davanti l'intero universo.
“Invece, per una donna l'amore significa pace...pace, dio santo, pace...”
E così rimani.
Nuda nel rosso velluto d'un ieri andato e di un domani a venire.

Sospesa. In silenzio.

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