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mercoledì 13 novembre 2019

"Arizona. Una tragedia musicale americana". Al Teatro Elfo Puccini di Milano, in scena lo spettacolo di Juan Carlos Rubio, con con Laura Marinoni e Fabrizio Falco.


19 novembre / 1 dicembre, sala Fassbinder

Arizona. 
 Una tragedia musicale americana 

di Juan Carlos Rubio
traduzione Giorgia Maria D’Isa in collaborazione con Pino Tierno
regia Fabrizio Falco
scene e costumi Eleonora Rossi
luci Vincenzo Bonaffini
musiche e suono Angelo Vitaliano

con Laura Marinoni e Fabrizio Falco

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione


Fabrizio Falco e Laura Marinoni, dopo il successo di Fedra (prodotto da ERT nel 2015), tornano insieme in scena con Arizona, testo di Juan Carlos Rubio, prolifico drammaturgo spagnolo, sceneggiatore e regista di teatro e cinema. Una storia più che mai attuale, che punta i riflettori sui conflitti al confine tra USA e Messico, specchio e misura della violenza dilagante nel mondo occidentale.

George e Margaret sono una stramba coppia americana, lei con il mito di Julie Andrews, lui calato nel suo rassicurante machismo. I due si trasferiscono nel deserto dell’Arizona perché fanno parte del progetto ‘Minute Man’, una milizia civile creata a partire dal 2004 negli stati Uniti con il compito di difendere i confini dai pericolosi vicini del Sud e rendicontare gli ingressi illegali dei migranti.
Un progetto equivoco i cui dettagli sono poco chiari - come affermano gli stessi personaggi - sul quale non è permesso asserire nulla né dubitare. Un rigido e ossessivo schema di regole governa la vita quotidiana di George e Margaret e si rispecchia nel loro matrimonio, pieno di follie e nevrosi, bizzarre passioni e falsità.
 
 
Dalla cinica ironia dei dialoghi, intrisi di patriottismo americano e bigottismo, traspare una tematica ben più ampia, che va oltre i confini dell’Arizona e che giunge fino a noi: la paura costante della diversità, il terrore dell’invasione dello straniero. «Loro vengono a rubare tutto ciò che è nostro… A toglierci la casa… Il lavoro… Ad assassinare i nostri figli e a violentare le nostre figlie», afferma George. «Questa nazione ha innalzato le sue fondamenta su una base di solidarietà».

Un umorismo surreale e grottesco serpeggia in tutto il testo. Le parole qui sono un fattore d’incomprensione, ma anche di abuso di potere, praticato a partire dall’interno della coppia. Una durezza verbale che produce distanza e isolamento in una situazione di costante sospetto.
Il mondo esterno, che lo spettatore non vede mai, si presenta solo attraverso una radio, dalla quale fuoriescono melodie di musical americani e notizie preoccupanti che sembrano scivolare addosso ai personaggi. È un contesto apparentemente rassicurante, quasi da sceneggiato a colori, che si sgretola pian piano quando Margaret comincia a porsi troppe domande: la commedia si trasforma così in una tragedia cruenta.
Il testo di Juan Carlos Rubio, scritto nel 2005 si rivela profetico. Dodici anni dopo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di costruire un muro che separa il suo paese dal Messico. In Europa e nel mondo il rigurgito di intolleranza per le differenze e la tragedia dei migranti rendono Arizona un racconto attuale, che tuttavia non sfocia nella cronaca, muovendosi con grande equilibrio sia in una dimensione realistica che nella finzione distopica. Un testo che ci interroga e ci lascia riflettere sul nostro conformismo, le nostre responsabilità, le nostre fobie e le nostre miserie.
Note di regia di Fabrizio Falco
Sin dalla prima lettura, il testo Arizona di Juan Carlos Rubio espone riferimenti chiari al teatro dell’assurdo e al teatro musicale. Tuttavia, il realismo è il faro guida della mia idea di regia. Pur nel rispetto assoluto dello sviluppo narrativo, il carattere apertamente teatrale, nei suoi spigoli più esteriori, viene smussato, con l’intenzione di dare maggiore risalto alle dinamiche di relazione così ben delineate. Ho cercato di non dare niente per scontato, guardando i protagonisti George e Margaret come persone e non come personaggi. Ciò permette di creare maggiore empatia negli spettatori, coinvolgendoli nel destino, nelle scelte, nelle vite delle figure in scena.
La mia convinzione è che proprio il filtro della teatralità debba essere gradualmente abbattuto, in funzione di un linguaggio più diretto e più vicino all’esperienza di noi tutti. Nel momento in cui i conflitti che vediamo in scena appaiono affini ai nostri, il palcoscenico si trasforma in uno specchio della realtà, nel quale riconoscersi.
Una storia aspra di dipendenza reciproca, di un rapporto coniugale patologico frutto di una società malata, impaurita e intollerante. Basta guardarsi intorno per accorgersi quanto tutto questo sia vicino a noi.
 
 

Juan Carlos Rubio
Diplomato alla Real Escuela Dramática di Madrid, la prima vocazione artistica di Juan Carlos Rubio è per la recitazione: terminati gli studi, prende infatti parte a numerosi allestimenti e a fiction televisive. Dal 1992 alterna l’attività di attore a quella di autore di serie tv.
Nel 1997 scrive la sua prima opera teatrale, Esta noche no estoy para nadie. Seguono poi testi di grande successo El bosque es mío, Las heridas del viento, Humo (Premio SGAE 2005), Arizona, i cui allestimenti vedono lunghe tournée in Spagna. I suoi lavori messi in scena in Perù, Cile, Stati Uniti.

Dalla rassegna stampa 
 
Lei, Margaret, in abito azzurro, scarpe rosse e cappello, canta, accenna passi di danza sulla sabbia e ama Julie Andrews; lui, George, in tenuta da pioniere paramilitare, è la completa incarnazione del maschio suprematista bianco. Hanno lasciato il Wyoming per unirsi al progetto ‘Minuteman’ e sorvegliare, come civili volontari armati, la frontiera sud del paese, minacciata da quei “vicini serpenti che infrangendo la Legge umana e divina entrano nel territorio per rubare quello che è nostro”. Lei è un po' svampita, ridicola, infine consapevole dell'enormità dinanzi la quale si ritrova. Lui si sente depositario della verità e alla stessa stregua proprietario della moglie, che dichiara di amare: dunque ogni cosa egli faccia, violenza inclusa, certo lo fa per il bene di lei. Il racconto può apparire distopico, ma quel futuro è stato, ed è adesso. Le tesi di lui – “Margaret, siamo qui per fare la storia” – sono saldamente ancorate alle più atroci pagine del Novecento. Nel 2004, sotto la presidenza di George W. Bush, il Minuteman Project è stato realmente condotto e gestito. La politica anti-immigrazione di Donald Trump ne ha sancito l'ulteriore concreta applicazione: il muro. 
Brunella Torresin, la Repubblica Bologna

Il loro compito è difendere il proprio Paese, così amato — da quando vi arrivarono da lontano i genitori, nonni o avi. Difendere da cosa o da chi? E naturale, da chi, arbitrariamente, illegalmente, vorrebbe entrarvi, collocarvisi, farne parte: tutti quegli abitanti del sud, tutti quei sudisti, messicani o chi sa che altro. Noi dei migranti non sappiamo niente. Qualcosa sappiamo (crediamo di sapere) di noi stessi, di noi nordisti — americani o, chissà, spagnoli, greci, italiani e, più su, svizzeri, ungheresi ecc. Rubio parla, ci sembra di capire, a nome di tutti questi Margaret e George del mondo. Margaret e George: due perfetti idioti. Lei non ha neppure capito perché è lì, sa solo che dove il marito va, lei va. Sa solo (ossia ignora) d'essere, tra le braccia di George, poco più o poco meno di un oggetto. In quanto a lui, è più attrezzato. (...) Lui porta in scena, ovvero nel deserto, un buon frigorifero e, in gran silenzio, un fucile nascosto tra le mazze da golf. Così passano, solitari, il tempo. Margaret ricamando e cantando, lui bevendo qualcosa di fresco, spiando l'orizzonte e puntando il fucile. 
Franco Cordelli, Corriere della Sera
 
 

TEATRO ELFO PUCCINI, sala Fassbinder, 
corso Buenos Aires 33, Milano 
Mar/sab 21:00, dom 16:30 – Durata: 1 ora e 10 minuti 
Prezzi: intero € 33 / martedì posto unico € 22 / rid. giovani e anziani €17,50 / 
Info e prenotazione: tel. 02.0066.0606 – biglietteria@elfo.org - www.elfo.org

Tournée 2019/2020
3 dicembre 2019, Auditorium Rita Levi Montalcini - Mirandola
 

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