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venerdì 9 dicembre 2011

ENRICO ROBUSTI | Grande burattinaio di un'umanità "qualunque", grottesca e deforme, decisamente sopra le righe | Testo a cura di Vittorio Sgarbi

Non andiamo verso nessuna direzione; il nostro grande ideale, adesso, è la mediocrità,la repressione dei propri impulsi. Per questa presunta dignità di castrazione, molti dei migliori sono morti.  Max Aub

COLPO DI FULMINE
Ora non è più un mistero, passato di bocca in bocca fra pochi privilegiati, come lo era fino a qualche anno fa: Enrico Robusti.
È certamente uno dei talenti più vivaci e interessanti dell’arte italiana dei nostri giorni.
Un talento che , dopo il passaggio di Robusti dalla specializzazione nel ritratto a una pittura di genere- per così dire- più universale, una sorta di ritrattistica visionaria del mondo, ma di un visionarismo che mantiene una buona aderenza con la realtà e compete con il livello di allucinazione insito nelle sua stessa essenza, ha trovato definitiva collocazione all’ interno di una categoria stilistica, l’ espressionismo, che un luogo comune vorrebbe poco consona all’arte italiana dei nostri tempi, e forse di tutti i tempi.
Già, l’espressionismo è nordico, il classicismo è mediterraneo, questo dice il luogo comune. Che, come tutti i luoghi comuni, ha naturalmente un fondo di verità storica, tutt’altro che irrilevante. Non c’è dubbio che, se volessimo individuare per Robusti un attendibile percorso di provenienza lungo la storia dell’ arte, fosse anche a livello di semplici analogie visive piuttosto che di effettive meditazioni formali che siano state compiute su questo o quel maestro, troveremmo in questa strada molto più Nord che Sud. Più Schongauer, Durer, Bosch, Bruegel, Hals, Messerschmidt, Hogart, tanto per fare un qualche nome che renda subito l’idea; giungendo a tempi più recenti, più Secessione Viennese più Neue Sachlichkeit, naturalmente, Gorge Grosz, Otto Dix, Max Beckmann, Christian Shad, Volker Bohringer, Franz Radziwill...

AMATRICIANE IN BURRASCA
VIENI A SEDERTI QUI TRA NOI
SCOMPARTIMENTO FUMATORI
E poi avanzando ancora, considerandolo appartenente alla grande famiglia culturale germanica non meno che quella al bionica, Lucian Freud, padre putativo di tutta una nuova figurazione di ascendenza nordica rispetto alla quale artisti sul tipo di Marc Quinn e Jenny Saville, per quanto meritevoli di considerazione, non possono certo considerarsi capostipiti, semmai pallidi epigoni.
Ma quanto servirebbe, a Robusti, trovarsi parenti nobili fuori dalle mura patrie, d’area nordica in particolare, senza correre il rischio di svolgere al riguardo un semplice esercizio retorico, di mente sostenuti quelli che i critici sono solitamente così bravi a imbastire, senza
Però porsi troppe domande sul fatto che possano essere realmente sostenuti da un’appropriata sostanza filologica?
Servirebbe, soprattutto, a legittimare fino in fondo un preciso imprinting internazionale per Robusti, più di quanto non farebbero, per esempio, gli accostamenti ai nostri Sughi, Vaccari, e slittando sull’applicato dei comics, all’insegna di una convergenza fra colto e popolare sempre più praticata nella comunicazione artistica dell’epoca dei mass media, il Tanino Liberatore più post-Moderno? Difficile affermarlo, così come negarlo.

BUM

LE SIGNORE SI DIVERTONO
Nel dubbio, meglio attenersi a un Robusti letterale e autosufficiente, poco bisognoso di ricorrere ad altro al di fuori di sé stesso, non solo sotto l’aspetto tecnico, perfettamente cosciente di ciò che fa e non fa.
Un Robusti, grande burattinaio, che fa della pittura il personale teatrino con cui maneggiare un’umanità animale e decisamente sopra le righe, grottesca, deforme, tirata da parte a parte nelle facce di gomma come nelle opere di Grosz, corrosa sulla pelle da segni penetranti come il vetriolo delle opere di Bacon, ossessionata dall’ingombro morale della carne come nelle opere di Freud, ulteriormente alterata nel suo aspetto da punti di vista rialzati, a volo di uccello, e da prospettive aberrate, quasi da specchio anamorfico; eppure, un’umanità che, per quanto vista da dietro la lente di un sarcasmo distaccato e catartico, acquisisce comunque valore universale, risultandoci spaventosamente familiare nel suo orrore quotidiano, quella della porta accanto, quella che dalla porta accanto i nostri vicini potrebbero parimenti vedere in noi.

MAH SIGNORINA! MA NON SI RENDE CONTO CHE MI STA PRECIPITANDO ADDOSSO TUTTA LA SUA BELLEZZA?

Accenna storie possibili, Robusti, incrinando la staticità tendenziale di un universo in contemplazione del nulla più disarmante, teso a compiere azioni che danno la chiara impressione di essere superflue, a soddisfare piaceri che paiono effimeri e beluini, senza nessuna possibilità di pervenire a una finalità che risulti intellettualmente più elevata, coinvolti in un uroburo che programma la circolarità del non senso e della disperazione cosmica. Ma sono storie che rimangono ipotesi sospese, galleggianti nell’aere dell’ eternamente indefinito, del prevalente immobile.

TRAGICO DESTINO DI UNA GALLINELLA RIPIENA
AH SIGNORA GIOVANNINA CHE PIACERE RIVEDERLA!
Attraversa il suo mondo, Robusti, sempre con il rasoio in mano, come in uno dei Delitti esemplari di Max Aub fra i più memorabili: ancora lucido, ancora sufficientemente pietoso nei confronti di chi incontra e ci fa vedere dietro la gabbia, ma senza potere escludere che un improvviso bagliore sulla lama possa travolgere qualsiasi  controllo razionale, generandola un momento all’altro il raptus carnefice, incontrollato, risanatore.
E’ forse la banalizzazione dell’orrido, l’abitudine ad esso, il grande nemico da esorcizzare. Il mostro che sta dentro di noi, anche se facciamo finta di non vederlo.

Testo a cura di Vittorio Sgarbi


RANE FRITTE

LA MOGLIE DEL SANTO

RANE FRITTE

RITRATTO DI ALBERTO AGAZZANI

RITRATTO DI CAMILLO LANGONE
BAR ITALIA


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