Se volete un assaggio della vera New York underground anni ‘70, procuratevi "Just Kids" (Feltrinelli), self portrait di Patti Smith in cui si narrano le vicende e il forte legame umano e artistico con Robert Mapplethorpe. Si tratta di un’autobiografia toccante e piena di spunti riguardo al sottofondo intellettuale e creativo che in quegli anni fermentava nel cuore grande mela. Si apprendono dettagli inconsueti della vita di questi due personaggi, Patti e Robert, che da subito si riconoscono esseri affini e prendendosi per mano, affrontano un duro cammino disseminato di sacrifici, alla ricerca dell’arte pura e dell’amore per la conoscenza a tutti i costi.
Lo strano mix di case fatiscenti e locali alla moda fa da sfondo alle notti in bianco passate a leggere poeti illustri come Genet o Rimbaud, o a disegnare, dipingere, incidere con i pochi materiali a disposizione. L’attenzione quasi maniacale per i dettagli dell’abbigliamento, per gli accessori e gli abbinamenti, di assoluta rilevanza in una ricerca estetica tout-court, si affianca alla presenza costante di una sorta di religiosità: dapprima il substrato cattolico delle famiglie da cui entrambi i “ragazzi” provengono, e più avanti la sacralità e il valore spirituale ricercati tenacemente nelle provocazioni di lui e nelle letture mistico-sciamaniche di lei.
E’ un’esistenza al galoppo sfrenato alla ricerca della vita, fatta di ciambelle alla marmellata, film nouvelle vague, libri d’arte e biografie, e poi, dal Chelsey Hotel in poi, ecco i fatidici incontri con musicisti, autori, artisti e compositori, un nome su tutti: Gregory Corso.
Come in tutte le coppie anche Patti e Robert hanno i loro alti e bassi, ma sempre si incoraggiano a vicenda e sempre saranno solidali, anche quando le rispettive carriere decolleranno: lui come fotografo e lei come poetessa e cantautrice. Anche più avanti negli anni, quando lei, creatasi ormai una sua famiglia, correrà da lui per essergli ancora una volta vicino nei suoi ultimi giorni.
"Il giorno prima che morisse, ho promesso a Robert (Mapplethorpe) che avrei scritto la nostra storia. Lo conoscevo da quando avevamo 20 anni ed eravamo Just Kids, solo due ragazzi, affamati della vita, creativi e senza un soldo. Abbiamo costruito tutto partendo dal nulla. Quando vivevamo al Chelsea Hotel non avevamo un telefono, non avevamo tv, mangiavamo una volta al giorno. Ma credevamo nella nostra visione e di notte lavoravamo alla nostra arte. Ho scritto il libro perché volevo che la gente sapesse chi era Robert, come si è formato, e che ciò che abbiamo fatto è a disposizione di tutti, quando arriva quel momento di battersi per le proprie idee. Volevo far capire ai ragazzi che non è la crisi che può fermarti, che può renderti infelice, che può impedirti di realizzare i tuoi sogni. Si può andare avanti con niente, e la cosa migliore di cui disporre è una persona con cui condividere questi momenti, qualcuno che creda in te. Ma devi essere tu il primo a credere in te stesso, nel tuo desiderio di scrivere, suonare, fare fotografie"
Patti Smith (tratto dall'intervista su Rolling Stone Magazine)
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