Si inaugura venerdì 16 dicembre 2011 alle ore 18.00 presso Officine Fotografiche di Roma, in Via Giuseppe Libetta n. 1, la mostra Nur (Luce) – fotografie di Monika Bulaj a cura di Maurizio G. De Bonis e Valentina Trisolino per Punto di Svista e organizzata da Officine Fotografiche. La mostra rimarrà aperta fino al 15 gennaio 2012.
L’esposizione, composta da trentasette immagini, di cui alcune di grande formato, pone la propria attenzione sulla realtà afgana, la quale pur conoscendo la sovraesposizione mediatica internazionale da ben dieci anni rimane, special modo per il mondo occidentale, un’enigma velato di paure e pregiudizi. L’obiettivo del suo progetto, concentrandosi sull’Afghanistan, è stato quello di mostrare il mondo nascosto del popolo Sufi, le tribù nomadi e le minoranze che abbracciano quest’antichissima tradizione pre-islamica, disprezzata dai talebani wahhabita.
Monika Bulaj, con un taccuino e una fotocamera Leica, ha esplorato da sola questo paese, ne ha respirato l’essenza, conosciuto la bellezza umana e del paesaggio. Si è inondata di luce, una luce che rende unico questo territorio e che lei stessa definisce “un giardino luminoso”. Lo scopo della Bulaj è quello di evitare gli stereotipi e di vivere dal di dentro la vita delle popolazioni che intende studiare e capire. La fotoreporter polacca è artefice di una fotografia documentaria non di consumo, né banalmente cronachistica, quanto piuttosto di intensa e appassionata analisi della condizione esistenziale di esseri umani di cui in occidente si ha spesso un’idea distorta.
Osservare i suoi scatti non è solo effettuare un viaggio attraverso luoghi a noi sconosciuti o solo immaginati. L’Afghanistan, Paese teatro di questo lavoro fotografico, assume infatti sfaccettature inaspettate. La tragedia che ha dovuto vivere in questi ultimi anni è pur sempre visibile, ma ciò non rappresenta il fulcro del racconto. Le tradizioni pre-islamiche di alcuni popoli, gli eventi religiosi come la vita quotidiana, sono elementi raffigurati da Monika Bulaj con un’intensità che deriva non da un processo di spettacolarizzazione ma da una vicinanza sincera verso il soggetto, che sia essere umano o paesaggio.
In sostanza, l’avventura personale della fotografa in Afghanistan è stata caratterizzata dalla volontà di rappresentare in modo democratico un mondo che viene costantemente proposto dai media internazionali attraverso raffigurazioni involontariamente colonialiste. Monika Bulaj ha lavorato nell’ambito di meccanismi estranei al concetto di rapacità espressiva e ha condiviso l’esperienza dell’esistenza quotidiana di persone molto distanti da lei grazie alla purezza di uno sguardo soggettivo riconducibile alla consapevolezza della sua posizione nel mondo e alla particolarità del suo punto di vista indipendente. Chi scatta in determinati contesti, se non vuole partecipare al businnes della riproduzione visiva della presunta realtà che inonda televisione e giornali, non può che essere lontano dal pregiudizio generato dagli organi di informazione.
In occasione di Nur è dunque venuto fuori un affresco dall’impianto non convenzionale di un universo che generalmente vive nelle menti occidentali all’interno di un labirinto di fraintendimenti guidati (da altri). La natura pittorica delle opere, in alcune prove di derivazione caravaggesca, lungi dall’essere un vacuo esercizio stilistico, non distoglie l’attenzione da un altro aspetto relativo alla sfera creativa di Monika Bulaj, la quale mostra la sua adesione al principio “alto” della corrispondenza tra opera d’arte e sincerità intellettuale dell’autore. Tale questione appare come la caratteristica che permette al suo lavoro di posizionarsi nel territorio delicato del rapporto tra espressione, linguaggio, stile e sostanza sociale dei temi trattati.
Nur, dunque, è un progetto confortato dalla purezza delle motivazioni che hanno spinto la sua autrice a realizzarlo. A ciò si aggiunge la forza rara (dagli esiti visivi impressionanti) dello stile utilizzato, soprattutto per quel che riguarda l’uso della luce e di taluni cromatismi, mai banali.
In definitiva, Monika Bulaj si mostra come una fotografa/intellettuale/narratrice in grado di collocare l’importanza degli argomenti affrontati in un’architettura comunicativa di indubbia chiarezza, aspetto che consente al fruitore di cogliere senza stereotipi le esistenze di popolazioni che altrimenti rimarrebbero ingabbiate nel disastro della divulgazione di consumo. In Nur, il “tocco fotografico” della Bulaj allude più al gesto dinamico e caldo della pennellata che all’atto meccanico e algido della pressione del dito sul pulsante della macchina fotografica. È proprio quest’ultimo aspetto che testimonia, in maniera certa, la sua contiguità umana ai soggetti che si sono imbattuti nel suo sistema ricettivo non tecnologico, ovvero nel suo sguardo.
Testo critico di Maurizio G. De Bonis
(con la collaborazione di Valentina Trisolino)
©Punto di Svista
*Per concessione di Punto di Svista - Arti Visive in Italia
©Punto di Svista
*Per concessione di Punto di Svista - Arti Visive in Italia
Nessun commento:
Posta un commento