Rosario Di Rosa, pianista e compositore estremamente creativo, si distingue per una vocazione alla ricerca e alla contaminazione, con un'attenta analisi della musica minimalista contemporanea che non disdegna l’improvvisazione come discorso innovativo in abito jazzistico.
Talento che non è passato inosservato, tanto che nel corso del 2015, si è imposto con decisione, in trio con Paolo Dassi al contrabbasso e Riccardo Tosi alla batteria, all’attenzione della stampa e della critica specializzata per il nuovo progetto discografico, Pop Corn Reflections, edito dall’etichetta milanese NAU Records.
Ai tanti successi e riconoscimenti si aggiunge adesso anche il secondo posto come migliore formazione dell’anno nel referendum Top Jazz 2015 indetto ogni anno dalla prestigiosa e storica rivista Musica Jazz e decretato da una schiera di autorevoli e competenti critici e giornalisti musicali.
Noi di Untitled magazine lo abbiamo intervistato in esclusiva per voi.
Rosario chi o cosa ti ha portato al jazz?
In
qualche maniera la musica ha sempre accompagnato la mia vita sin da quando
avevo 2 anni, prima come semplice gioco e poi via via sempre più come impegno
serio e professionale. L'incontro col jazz è arrivato in maniera inaspettata
ma, al tempo stesso, consequenziale. Intorno ai 17 anni suonavo le tastiere in
vari gruppi rock della mia città, Vittoria (RG), ma avevo anche cominciato a
interessarmi agli accordi che sentivo nei dischi di Pino Daniele, chiaramente
già derivativi dal jazz. Poi un bel giorno un mio amico mi fece ascoltare Headhunters di Herbie Hancock e, a quel
punto, cambiò tutto. Provai una sensazione che auguro a tutti di provare almeno
una volta: non credere alle proprie orecchie, non potevo immaginare che
esistesse una musica così bella. Fu in quel momento che mi resi conto che
dovevo iniziare assolutamente a studiare piano jazz.
Cosa è per te “fare musica”?
Per
me "fare musica" è sinonimo di "mettersi in discussione".
Negli ultimi anni navigo questo mare infinito in lungo e largo, dal jazz alla
musica classica, dalla composizione alla musica elettronica, cui mi sto
dedicando di recente. Più apprendo cose nuove, più mi rendo conto di essere un
puntino in questo oceano di pura bellezza, il che contribuisce in maniera
decisiva a dare senso al mio vivere.
Tu e la creatività, come nasce l’ispirazione? Ci sono momenti o situazioni
particolari che la favoriscono?
La
creatività è per me un elemento imprescindibile del "fare jazz". Credo
si possano individuare due fasi nel mio percorso personale di musicista e
compositore. La prima, conclusasi col
disco Yawp!!! del 2012, in cui la
creatività serviva per descrivere in musica esperienze autobiografiche o
interessi extra disciplinari; la seconda, inaugurata con Pop Corn Reflections (NAU 1305) del 2015 in cui l'aspetto
descrittivo è completamente sparito e sostituito da un approccio più analitico
e sintetico legato al mero linguaggio musicale. Mi piace studiare concetti
legati alla musica contemporanea e riportarli all'interno dell'improvvisazione
tipica del jazz. L'ispirazione dunque, che si manifesta nei momenti e nei modi
più inaspettati, è adesso un processo di sintesi e rielaborazione che travalica
i confini dei generi musicali, di cui mi è sempre importato poco.
Se io dico “Steve Reich”, tu dici?
"Phasing",
una forma di contrappunto usata nella minimal music che può prevedere, oltre il
classico utilizzo degli strumenti acustici,
l'ausilio di nastri o feedback di microfoni ad esempio. Steve Reich, ma
anche Terry Riley, John Adams e La Monte Young sono per me un esempio di come
possa essere composta musica poetica, di denuncia, provocatoria, inusuale,
attraverso i modi più diversi e con un approccio alternativo ma allo stesso
tempo evocativo.
Cosa cerchi dai musicisti con cui suoni e collabori?
Le stesse cose che chiedo a
me stesso: creatività, passione e impegno.
Quali sono le collaborazioni più significative che hai avuto?
Ricordo
con affetto la prima in ambito professionale, ovvero quella col trombettista
siciliano Vito Giordano che mi chiamò nel suo quartetto formato da altri
insegnanti del Brass Group di Palermo, scuola nella quale studiavo piano jazz
da appena un anno. Fu un'esperienza bellissima e molto formativa. In generale
poi tutte le collaborazioni mi hanno sempre lasciato qualcosa, nel bene o nel
male. Vorrei inoltre sottolineare quella per me molto importante con gli
attuali membri del mio trio, Paolo Dassi e Riccardo Tosi, che mi ha permesso di
realizzare un sogno: creare un piccolo "laboratorio" stabile dove
provare la mia musica.
ROSARIO DI ROSA TRIO
Rosario Di Rosa, Paolo Dassi e Riccardo Tosi
Chi riconosci come tuoi simili?
Una
cosa che ho imparato della musica è che bisogna sempre cercare di essere sé
stessi. Ogni musicista ha i propri "eroi", che diventano tali proprio
perché ti fanno percepire la loro unicità. Per questo, nel mio piccolo, mi
sforzo di non imitare e di non essere simile a nessuno, dunque spero che
nessuno sia simile a me.
Cosa accadrà in futuro? Cosa è scritto nell’agenda di Rosario Di Rosa?
Sicuramente
suoneremo Pop Corn Reflections il più possibile. Parallelamente, come sempre,
lavoro in tante direzioni: nuovi progetti, nuove collaborazioni...
Tre aggettivi che ti rappresentano.
Creativo, curioso,
determinato.
Divento
un appassionato ascoltatore musica. Uno dei momenti più belli che spesso
riservo per me è sedermi la sera davanti allo stereo, mettere sul giradischi un
vinile e premere play.
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