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sabato 20 ottobre 2012

ANIMA | Marcello Chinca


Dopo aver navigato a vela per cinque giorni da Fiumicino a Palma di Majorca e da qui in traghetto sino a Valentia, raggiunsero in treno Tossa du Mar in Catalogna. Qui presero alloggio al piano rialzato di una casa bianca dai tetti spioventi, col tetto d'ardesia e scuri verdi di legno. Dalla finestra potevano scorgere la baia e la rocca su cui erano visibili i resti della fortezza medievale.
Appena riposto i loro bagagli uscirono di nuovo. Discesero verso la baia dove i pescatori stavano issando con gli argani i gozzi sulla sabbia. Stormi di rondini volteggiavano al tramonto radenti l'acqua. Gabbiani spiluccavano tra i rimasugli delle reti stese sulle plance dei gozzi in secca.

Cenarono quella sera da Maria. Lui l'aveva conosciuta anni addietro, quando era ancora un bevitore caparbio. Ora lui beveva solo vino quanto bastava, alternando spesso il vino con un bicchiere d'acqua. Quella sera però Maria preparò per loro una Sangria e non voleva sentire storie, riempì i loro bicchieri sino
all'orlo e li rinforzava ogni volta li vedesse mezzi vuoti.

Col tempo la sala si riempì. Una chitarra ed una fisarmonica scaldarono la serata, Maria cantò una ballata anarchica. Alla fine, molti dei presenti cantarono in coro quelle ultime strofe, alzando il pugno chiuso. A lui parve di vivere negli anni '30. Maria ritornò da loro al bancone, raccontò loro di Salvator Dalì, lei l'aveva conosciuto, disse che abitava qua vicino, ormai solo e pazzo, coi familiari interessati solo ai suoi soldi, tutti determinati ad interdirlo, prima che lui dilapidasse tutto in puttane e finocchi, Maria disse che, nonostante tutto il suo genio poliedrico, Dalì era stato una carogna senza pari, anche durante la Guerra Civile s'era piegato in modo ignobile, tradì tutti i suoi valori, tutti i suoi sodali di allora, Rafael Alberti, Luis Bunuel, Garcia Lorca, e ciò solo per salvarsi la pelle, tutti li aveva traditi. Col pretesto del Surrealismo era sempre stato in realtà un voltagabbana ignobile, un uomo vanesio e avido, aggiunse, un po’ inclemente dopotutto, pensò lui.

Caraffe di Sangria erano allineate lungo il bancone. Musica pop spagnola a tutto volume. Lui ed Amina ballarono sino a sfinirsi, Amina era radiosa coi suoi capelli rossi e l'abito corto bianco coi seni grandi ed alti intuibili dalla scollatura..
Una volta fuori corsero per i vicoli su per la salita. Lui la inseguì. Scostarono un vecchio cancello che cigolò sui cardini, s'intrufolarono cauti nel giardino, tutto pareva disabitato. Il cielo era sgombro, stellare. Amina lo condusse nei pressi del muro di cinta. Qui senza preamboli si strinse a lui, baciandolo, come non avesse atteso altro.

'Aspetta' gli disse. Si sfilò abito e mutandine, si girò verso il muro di spalle, arretrò un poco sui tacchi, divaricò le gambe. Lo fissò con un aria di sfida.
'Che fai? Guardi solo?'
Lui ora si stupì di guidarla senza lasciarle l'iniziativa, le passò la lingua lungo la spina dorsale, poi alla base del collo, lei si protese indietro col volto, cercando di baciarlo. Si baciarono così mentre lui la stringeva sui seni nudi. Quella frenesia delle loro lingue intrecciate li fece trepidare in una bramosia forse troppo precoce. Lui si ristabilì in posizione eretta, senza più baciarla né muoversi dentro di lei.
'Non fermarti ora!'
Una raccomandazione la cui impellenza non si poteva discutere.
Le ricoprì la bocca con la mano, quando dei passi rintoccarono al di là del muro, lungo il vicolo. Lui ed Amina rimasero immobili, percependo il loro duplice palpitare quasi all'unisono. I passi s'allontanarono seguiti da un sonoro sputo sull'asfalto.

Lui la afferrò dal mento, con l'altra mano le strinse un gluteo, così da poterla calibrare al suo ritmo ancora irregolare. Lei lo spiava, appena rigirata, invocando il suo nome, un canto sottovoce, senza stacchi come una cantilena araba.

Raggiunsero la loro camera che albeggiava. Dalla cordigliera dei monti s'insinuò una luce rosa sbiadita che ricoprì i muri delle case. Dalla finestra lui scorse i gozzi pronti a partire, un peschereccio all'orizzonte solcava già il mare seguito da uno stormo di gabbiani famelici.
Fecero colazione in camera, lui aveva pure comprato El Pais. Poco dopo Amina raggiunse il letto e s'addormentò, lui non ne aveva voglia, dopo aver sfogliato il giornale, uscì, si diresse alla taverna di Maria, ma la taverna era chiusa.

Si diresse allora sulla spiaggia. Si spogliò, indossò il costume. Con gradualità s'immerse sino ai fianchi nell'acqua gelida. Infine si tuffò. Nuotò fino al largo per mezzo miglio, poi corresse la rotta verso la rocca. La doppiò puntando sulla spiaggia adiacente, ancora deserta di avventori.
Dalla spiaggia raggiunse la baia a piedi. Si fece una doccia, si rivestì, s'incamminò in direzione della taverna che stavolta trovò aperta. Maria era intenta a spazzare il pavimento ma gli preparò lo stesso una tortillas in salsa chili.
'Mettiti comodo fuori, sotto al pergolato, qui devo spazzare'
Lui raggiunse il tavolino fuori. Poco dopo Maria gli portò la tortillas ed un bicchiere di birra. Si sedette accanto a lui, la sigaretta accesa all'angolo della bocca.
'Sai che sensazione ho a riguardo di te ed Amina?'
'No, dimmela!'
'Sei sicuro che non t'offendi poi?'
'Deve essere grave allora'
'Mi pare che Amina sia più che altro aggrappata a te, non ha alcuna autonomia...'
'Forse è vero, non ha che 18 anni dopotutto, io sette anni più di lei'
'Non è soltanto una questione d'età! Lei pensa che tu le saprai indicare la via. Ma io so che tu non ne sarai capace.'
'Grazie Maria, sei gentile'
'Tu la stai solo sfruttando, la usi, è bella, non si discute, ma lo vedo: non funzionerà mai tra voi'
'Va bene Maria, ora me l'hai detto'
'E' una faccenda seria! Lei è troppo viziata e borghese, si vede, sono sicura che ha un padre che ha sempre pensato a lei, un padre che l'ama senza condizioni, lei sta solo cercando di sostituire questo padre forse troppo apprensivo, ma tu non sei adatto a questo, tu non ce la farai'
'Ho capito'
L'osservazione sul padre l'aveva colpito per l'esattezza dell'analisi.
Lui si sentì irrigidire, sospirò d'impazienza.
'Ti lascio in pace, mangia pure la tua tortillas'

Due anni dopo lui e Amina erano in auto assieme al padre diretti a Piazza Verdi. Amina doveva partecipare ad un concorso presso la Zecca di Stato. Al solito lei fu disfattista ed insicura di se ed entrambi gli uomini dovettero tranquillizzarla di continuo durante il tragitto.
Quando rimasero soli, lui e il padre passeggiarono intorno alla piazza. Il padre gli svelò che il concorso era stato indetto apposta per Amina, che si trattava in realtà solo di una formalità. Lui non ne fu stupito. Il padre era un pezzo grosso ed aveva sicuramente influenze.
Di nuovo sotto l'arco d'entrata alla Zecca il padre gli disse che aveva provveduto a comprare alla figlia un villino a Casalpalocco, un ottimo affare. Gli parlò poi enigmaticamente della Massoneria, degli inviti che gli erano stati fatti perché ne facesse parte. Non s'acclarò se poi ne fosse diventato membro o meno, ma lui ne dedusse che forse era un massone eccome! Tutto lo lasciava supporre.

Amina superò il concorso, si stabilì nella sua nuova casa. Lui la raggiungeva nei fine-settimana. Tra loro tutto cambiò in peggio da allora. Lui divenne corrosivo, impudente sino all'estremo. Non poteva sopportare che lei avesse tutto e lui dovesse ancora a studiare nel tentativo di divenire giudice, e nel frattempo convivere coi suoi. Finché un giorno lui la schiaffeggiò. Lei fu presa da una crisi d'epilessia che si dovette chiamare il dottore. Lui soffrì di crisi d'asma per giorni. Finché un giorno le restituì le chiavi di casa. Tutto era apparentemente finito nel peggiore dei modi.

Si rividero tre anni dopo durante il funerale del padre. La madre gli riferì colle lacrime agli occhi quanto entrambi, lei e suo marito, l'avevano rimpianto. Lui non se ne meravigliò affatto.

Quindici anni dopo Amina lo richiamò. Ora lei aveva una figlia.  Scelsero un ristorante spagnolo sul lungomare di Ostia. Bevvero vino rosso e Sangria sino ad ubriacarsi. Amina pianse quando lui le fece vedere una foto in cui erano ritratti assieme alla taverna di Maria. Pagato il conto Amina lo invitò a dormire a casa sua. Lui accettò. Appena a casa, il telefono squillò. Era suo marito. Lui li sentì insultarsi in modo ignobile. Pensò di andare via, lei gli ingiunse di rimanere. Più tardi le telefonò la madre. Alle rimostranze della madre Amina replicò che doveva pure distrarsi con qualcuno.

Lui si spogliò perplesso, si mise sotto le coperte. Lei spense le luci, si spogliò, lo abbracciò sotto le coperte, montò su di lui, pretendeva di farlo di dietro ma a lui faceva male forse per via della posizione. La stese allora di schiena, la penetrò davanti. Lei lo redarguì che era uno stronzo. Lui non capì perché

La mattina si salutarono, Amina disse che era meglio non vedersi più. Lui approvò. Si maledì di averla rincontrata. Ma provò anche pietà per lei. Per quel suo deambulare tra psicofarmaci ed amanti vari. Per quel suo attrito innaturale e cruento con ogni uomo che la avesse vicino, quest'attrito che lui indovinava così masochistico e poi ritorsivo fatalmente sino all'infamità più sfacciata.

 Maria aveva avuto ragione!

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