STAY COOL. BE SOCIAL.

giovedì 18 ottobre 2012

TENTATIVI DI ESAURIMENTO DI UN LUOGO | A LeMuse Giovani la personale dell'artista MILLO, a cura di Roberto Lacarbonara e Roberto Eduardo Maria Mazzarago.


Dal 21 ottobre al 4 novembre 2012, presso gli spazi della galleria LeMuse Giovani di Adelfia (BA), via G. Marconi 22-24, si terrà la personale dell'artista Francesco Camillo Giorgino, MILLO, pittore, illustratore, muralista e performer.
"TENTATIVI DI ESAURIMENTO DI UN LUOGO", a cura di Roberto Lacarbonara e Roberto Eduardo Maria Mazzarago.
Testi critici di Roberto Lacarbonara. Catalogo digitale in galleria e presto scaricabile sul sito della stessa.


+ H 20:00 - SDRUMITA' - UNA PERFORMANCE DI MUSICA ELETTRONICA FIRMATA CLAUDIO FABIO MAZZARAGO


Vernissage 21 ottobre 2012 ore 19:30 | Sarà presente l'artista
INFO
Roberto Mazzarago
+39 393. 9239726 | lemusegiovani@gmail.com


___________________________________________________

Passaggio di un 63
Il sagrato è quasi vuoto. Poi lo attraversano tre persone.
Poi tre gruppi di due. Poi un signore da solo che esce di chiesa.
Continua a piovere, ma forse un po’ meno forte.
Un uomo attraversa molto lentamente il sagrato aiutando un’anziana signora
Una vettura color verde mela
Un autobus 96
Una vettura di colore grigiastro con la portiera posteriore blu
È mezzogiorno e mezzo.
Alcuni piccioni sul terrapieno dello spartitraffico.
Una volkswagen passa tra il terrapieno e il sagrato. Il sagrato è vuoto
Due passanti, in lontananza. Timida schiarita.
Dei carrellini pieni: sedano, carote
Mazzi di fiori tenuti con il gambo verso l’alto
La maggior parte dei pacchetti di dolci hanno la forma d’un parallelepipedo (torte?)
Un 63
Una borsa (tunisina) su cui c’è scritto « SOUVENIR ».
Un 96
Mi mangio un sandwich con il camembert
È l’una meno venti. [1]


TENTATIVI DI ESAURIMENTO DI UN LUOGO

Millo si è messo in testa di vedere di più, possibilmente stando sopra, non in volo, proprio sopra, a cavalcioni, sulle cose, case, persone, macchine, parchi, metropolitane, ombre, animali domestici, randagi.

All’inizio di “Manhattan”, Woody Allen (o Isaac Davis, il protagonista del film del 1979) abbozza 4 o 5 incipit del film e lo fa mentre la camera attraversa New York, città che “esisteva in bianco e nero e pulsava dei grandi motivi di George Gershwin”, “metafora della decadenza della cultura contemporanea” con quella “società desensibilizzata dalla droga, dalla musica a tutto volume, televisione, crimine, immondizia…”. E ogni inizio di racconto sembra una sorta di controsenso imboccato per far prima, per arrivare al centro della storia muovendosi, nella sceneggiatura, come ci si muove per strade trafficate.
Millo, per esempio, aggirandosi qua e là negli spazi sempre uguali di una città che non conosce, finisce per farci l’abitudine fino ad esservi inglobato, avvinghiato, tra strade che s’innestano sulla pelle e diventano arti, saliva o membrane. Ogni pittura, su di un muro o sulla tela, serve per schiacciare un nuovo passo, per farsi largo nella folla di grattacieli, vetrine e autovetture. O serve per amarlo, quello spazio, perché è tutto ciò che resta quando scappi dal paese per studiare architettura. E allora avverti presto quanto tutti i bei progetti di inventare le città, inventare il verde, inventare gli spazi per i bambini, inventare questo e quello, siano solo invenzioni di contenitori vuoti. Vuoti e basta, tante piccole cellette sulla mappa immaginaria di una città più grande che è il “sistema” (quanto meno per gli economisti o per i sociologi o per gli artisti).
Ecco allora che il solito enorme ragazzone che si erge tra le strade dei dipinti di Millo gioca a fare il grande, domina dall’alto tutto quanto e ha tra le mani gli aeroplani, in bocca qualche nuvola, sul ventre alberi secchi e ai piedi il groviglio di incroci e semafori.

Nel “Tentativo di esaurimento di un luogo parigino”, George Perec sostava per tre giorni consecutivi ai tavolini dei caffè o sulle panchine in place Saint-Sulpice, 6° arrondissement di Parigi, e osservava la piazza in differenti momenti della giornata. Prendeva accuratamente nota di tutto quello che vedeva, anche le cose all'apparenza insignificanti ma che fanno la vita di una grande città. Le innumerevoli variazioni impercettibili del tempo, della luce, delle foglie, delle ombre e dei colori erano tutte registrate con attenzione maniacale.
Esaurire un luogo significa esattamente questo: finirlo. Averlo-fatto-tutto; “fatto” nel senso di “percorso” o nel senso di “visto”. Oppure “disegnato”, se si è artisti o street artist alla Bansky o alla Brainwash. Così come “esaurire” vuol dire anche perdere il senno, sragionare. [Millo ha lavorato per un bel po’ sulla serie dei disturbi¸ quelle periferie della logica dove gli equilibri vengono meno e l’ordine muta nel caos in pochi istanti].
Era un tentativo di esaurimento di luoghi anche quello di Keith Haring di cui Millo ha buone possibilità di ritenersi erede. Ed era anche quello un tentativo di iniziare a contare, una per una, tutte le cose che vedi dall’altro quando te ne distacchi un momento, salvo poi confondere, in questo automatismo della conta, gli esseri umani coi loro simulacri. O coi loro fantasmi sonnolenti.


Roberto Lacarbonara
Locorotondo, 14 Ottobre 2012



[1] G. Perec, Tentativo di esaurimento di un luogo parigino, 1975


Nessun commento:

Posta un commento