VISIONS
Personale d’Arte Contemporanea
di Vincenzo Mascoli
Testo critico a cura di Vittorio Sgarbi
Dal 4 Dicembre 2019 al 4 Febbraio 2020
Opening 4 Dicembre 2019, h. 19:00
INGRESSO GRATUITO
Evento a cura di Open Milano
Open Milano - Viale Monte Nero 6, Milano
Ufficio
stampa: info@aopenmilano.com - Tel. 02.83425610
Da
mercoledì 4 dicembre 2019, lo spazio
espositivo Open Milano, in viale Monte Nero 6, ospiterà le opere di Vincenzo
Mascoli.
Curata da
Open Milano la personale (fino al 4 febbraio 2020) accoglie 30 opere realizzate dall’artista pugliese, con la sua
inconfondibile impronta: Décollage e stralci di pubblicità sono le allegorie
adottate dall’artista ,per ritrarre la personale visione della realtà ai limiti
della fredda cronaca con un procedimento di accumulo di porzioni di carta da
giornale, da cui emerge una visione sfaccettata del mondo, mediante un dialogo
continuo con le reliquie della comunicazione visuale: quotidiani, carta
patinata delle riviste, loghi riconoscibili della pubblicità, una commistione
esemplare tra parola e immagine, segni talvolta non identificabili nella loro
interezza, perché associati ad altrettanti squarci di vita sociale e politica
della contemporaneità.
Il
medesimo fil rouge che contraddistinse gli artisti della “Pop Art”, movimento
britannico che ha innalzato a effigie di se stesso la “Campbell’s Soup” di Andy
Wharol, in cui marketing e vita quotidiana sono mescolati e resi irrimediabilmente
inseparabili.
Artista
pugliese, laureato presso l’Accademia di Belle Arti di Bari in Scenografia e Pittura
e con molti riconoscimenti e mostre all’attivo, Mascoli assorbe le dinamiche
della storia dell’arte restituendole in un continuo principio di citazione e
della memoria con una riconversione degli stili del passato, fa proprie le
lezioni dei grandi maestri del ‘900, recuperando la pittura, il disegno,
recuperando l’identità dell’artista.
Mascoli
sembra chiedersi ed interrogare l’osservatore: quanta forza dobbiamo avere
perché questo slancio ci allontani dalla nostra eterna insoddisfazione, quale
prepotenza vuole il nostro io per vivere con passione e lasciare memoria del
nostro presente? Sono capace di fermare il piacere di essere? Le icone che mi
circondano, gli scatti, le immagini del mio quotidiano sono quelle presenze che
mi rassicurano, sono capace di giocare a questo gioco, e ve lo dimostrerò!
Flusso di incoscienza. Testo critico Vittorio Sgarbi
Lo schema
lo si individua facilmente. Davanti, una figura in dimensioni maggiorate,
dipinta realisticamente anche quando per cenni essenziali, il più delle volte
lasciando che la sua trasparenza riveli un flusso sottostante che non
interrompe, limitandosi a sovrapporsi su di esso come una vetrofania. Dietro,
appunto, un grande flusso, costituito da immagini e scritte ricavate da ritagli
di giornali che vengono assemblate a collage, dalla provenienza più
variegata, ma attingendo prevalentemente a quel repertorio
del trash che una volta era proprio della cosidetta “stampa
popolare”, e che oggi, invece, accomuna carta stampata, televisione e internet
senza soluzione di continuità, dandosi il tutto, opportunamente amalgamato
grazie anche all'impiego di libere pennellate in funzione di raccordo, come un
insieme di relitti galleggianti visti a volo d'uccello, sospesi nell'acqua di
porto più stagnante e sudicia che ci possa essere.
Non c'é
dubbio, Vincenzo Mascoli mira allo standard, a fare in modo, cioé, che lo
schema di rappresentazione adottato venga identificato come propria cifra
stilistica, seguendo in ciò la tendenza più comune all'arte maggiormente à
la page del secondo Novecento, a cui l'artista pugliese ha certamente
guardato (la Pop Art, naturalmente, come é stato già notato, ma forse ancora di
più, nell'ottica della poetica bricolière, il Nouveau
Réalisme, in ripresa e aggiornamento degli assemblages dadaisti).
Non credo, però, che il ricorso al facilmente individuabile, che pure finisce
per funzionare come un marchio di fabbrica, risponda in Mascoli alla stessa
sollecitazione che divenne dominante nell'arte novecentesca da lui presa
a riferimento, ovvero dall'esigenza di convertire la ricerca alle richieste del
mercato, esaurendola di fatto. E' che in Mascoli lo standard é
l'archetipo di una condizione più generale, già preannunciata dalla Pop Art e
dal Nouveau Réalisme, ma diventata tipica, nel parossistico dilagare della
comunicazione mediatica, della nostra epoca, per cui nulla può più darsi al di
fuori di esso. Non c'é più la purezza di spirito e di espressione, vecchio mito
romantico per cui si é creduto di potere ancora contemplare, negli uomini, la
presenza di un genio primitivo, non esiste più l'originalità, e se anche ci
fosse, probabilmente non servirebbe a nulla. Tutto, nel mondo attuale, é stato
già detto e visto, tutto é preconfenzionato, ma viene ripetuto ugualmente, deve
continuare a mostrarsi come in uno spettacolo infinito, una grande narrazione
senza un costrutto che sia alternativo all'automatismo per cui si manifesta,
un parler pour parler, voyer pour voyer in cui vero e falso,
importante e inutile, nobile e volgare, intelligente e idiota si confondono
disinvoltamente nelle sabbie mobili di una stessa melassa omegeneizzante. E non
si tratta più, come era ancora ai tempi di Warhol e Restany, di uno spettacolo
a cui si assiste passivamente, perfino con senso di soggezione, davanti
all'onnipotenza del Big Brother orwelliano che traspariva da un logo
di successo riprodotto da un cartellone pubblicitario o da uno schermo
televisivo, ma di un sistema globale in cui ciascuno può disporre dei mezzi,
diventati alla portata di tutti, in grado di rendere ogni spettatore anche un
elaboratore autonomo di spettacolo che viene immesso nello
sbocco universale del grande flusso, democraticamente partecipando
all'affermazione della sua tirannia assoluta.
Cosa
siamo diventati, rispetto al grande flusso oggi dilagante? E' questa, credo, la
domanda di fondo che si pone Mascoli e su cui ci invita a riflettere,
riconoscendo all'arte, la sua arte, una prerogativa speciale, la capacità di
bloccare ciò che di per sé tenderebbe a essere un panta
rei in continuo movimento e a lasciare segni sempre più labili
nella nostra coscienza, individuale e collettiva. Siamo davvero delle
trasparenze, fagocitati da un'entità troppo più grande di
noi, informazioni confuse ad altre informazioni, parvenze fra
parvenze che non riconoscono più precise distinzioni fra reale e virtuale,
minando alla base il senso stesso della nostra individualità? Possiamo
ancora riconoscerci una memoria, davanti a questa grande memoria dell'incerto e
dell'instabile che vuole disgregare tutte le altre? Ed é, questo, uno
stato esistenziale che deve angosciarci, imponendoci una presa di
posizione inevitabilmente critica nei confronti del fattore degenerante, come
le opere di Mascoli potrebbero sembrare suggerire, oppure, allo
stesso modo, un dolce naufragare che può preludere a una condizione ancora
più allettante, un eterno presente in cui si verifichi la sostanziale
dissociazione dall'ordine delle cose terrene, con tutti gli annessi e connessi
del caso? A Mascoli, e a noi, l'ardua sentenza.
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