Giovedì 26 gennaio p.v. alle ore 20.30, in occasione del Giorno della Memoria (ricorrenza internazionale in commemorazione delle vittime dell'Olocausto), andrà in scena al Teatro Massimo Comunale di Siracusa lo spettacolo teatrale "Io sono il mio numero", per la drammaturgia e regia di Tatiana Alescio.
Lo
spettacolo, finalista al Premio Shoah 2014 sezione drammaturgia,
promosso dall'Università di Tor Vergata di Roma in collaborazione con il
Centro Romano di Studi sull'Ebraismo, il Dipartimento di Scienze
storiche, filosofico-sociali dei Beni Culturali e del Territorio, la
Fondazione Museo della Shoah e l'ECAD (Ebraismo Culture Arti
Drammatiche), affronta il tema della Shoah traendo spunto dalle
testimonianze degli ebrei sopravvissuti alla deportazione del ghetto
romano del 1943, raccontando in particolare la storia di sette donne di
nazionalità, età, estrazione culturale e sociale diversa, dagli ultimi
scorci di vita libera al loro drammatico rientro.
Uno
spettacolo giunto al quarto anno consecutivo di una fortunata tournée,
che quest'anno si arricchisce dell'onore di essere stato inserito nella
programmazione del Teatro Massimo della Città di Siracusa.
Biglietteria on line: www.secretsiracusa.it - info@secretsiracusa.it
Prevendita: Botteghino del Teatro Massimo Comunale di Siracusa
mercoledì 25 ore 16/19
giovedì 26 ore 17/20
Trailer:
Sinossi:
Attraverso
un testo che trae spunto dalle testimonianze dei superstiti, si tenta
di portare a conoscenza dei ragazzi (e non), vicende atroci realmente
accadute a personaggi che,attraverso il loro sacrificio, hanno concorso a
sensibilizzare, forse dovremmo dire“civilizzare”, menti spietate di
uomini purtroppo a capo di potenti Stati. Il testo narra nello specifico
di sette donne di età compresa tra gli 8 ed i 45 anni, volutamente di
età, nazionalità (una di loro è francese), estrazione sociale e
culturale diversa, al fine di offrire un più completo panorama delle
svariate reazioni che la deportazione, in tutta la sua drammaticità, ha
inevitabilmente generato. All’aprirsi della scena, le protagoniste
interpretano l’inconsapevole serenità degli ultimi scorci di vita
libera, seppur sacrificata nel ghetto, non potendo in alcun modo
presagire l’orrore di cui a breve saranno vittime. Parlano in particolar
modo della richiesta/tranello di 50 kilogrammi di oro da parte dei
nazisti in cambio dell’incolumità di 200 ebrei: “Tanto poco vale la vita
di noi ebrei?”, esclamerà Diletta, l’unica donna che riuscirà a far
rientro dai campi di concentramento. Le rimanenti troveranno la morte in
maniera diversa l’una dall’altra: chi lottando comunque fino alla fine,
chi vittima di un inganno, chi colpita da malattia, chi di stenti … chi
semplicemente scegliendo di farla finita. La fame, ancor peggio la
sete, i lavori forzati durissimi, le pessime condizioni igieniche, il
freddo … verranno affrontati con sopportazione, coraggio ed encomiabile
dignità. Per sopravvivere il trucco è alienarsi, viaggiare con la mente
in quei pochi momenti della giornata che restano liberi, per non
impazzire nel ricordo, nella nostalgia, nel chiedersi incessantemente:
“dove saranno finiti i miei cari? li rivedrò?” Donne costrette a
mostrarsi nude davanti a uomini sconosciuti che le scherniscono,
mortificate nella loro dignità, rapate, rasate nelle parti intime,
marchiate a fuoco, indelebilmente, private del nome e del carattere,
spersonalizzate, per essere miseramente ridotte ad un numero, “quel”
numero col quale si confonderanno e nel quale si perderanno, non solo in
quei campi di morte, ma anche, e forse spiace dirlo “soprattutto” al
loro rientro, quando si scontreranno con l’incolmabile assenza di quei
cari, la perdita delle loro radici, l’indifferenza di chi è rimasto e
non potendo/volendo capire, si limiterà semplicemente ad additare
quell’essere oramai irrimediabilmente abbrutito… quel numero!
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