STEFANO RE | Ph by Persefone Zubcic |
Mettiamo
una giornata d’estate, con questo spicchio di muro trasformato in una sorta di
santuario personale – con queste immagini e scritte che si alternano con
colori, frasi, poesie, disegni, quadri. Se restate a osservare per qualche
minuto, vedrete la foto di qualche papa santificato che ha ammazzato a
martellate la propria amante, leggerete le riflessioni di Dino Buzzati sulla
stranezza della vita, le emozioni di qualche giovanotto innamorato e qualcosa
di piccante magari sul sesso alternativo. Un sito web all’aperto, raggiungibile
lungo il viale alberato che porta al parco.
Mettiamo
questa giornata di sole, con studenti e coppiette e qualcuno che porta a spasso
il cane tutti a godersi la pace sonnacchiosa e mettiamoci anche lui, lì in
piedi a fare assolutamente nulla. Quel sito web all’aperto è suo, lo ha fatto
lui, se ne sta beando perso nel suo transfert narcisista. Questa ragazza ha i
capelli biondo scuro raccolti in una coda di cavallo, una tuta da ginnastica
grigia e blu e l’aria impacciata ma soddisfatta di chi ha appena percorso
qualche miglio nautico avanti e indietro per il bene della propria forma
fisica, ma soprattutto mentale. Rallenta il passo, un po’ indecisa, e osserva
con gesto consueto le immagini rutilanti e le scritte. Ora c’è la foto di
Beethoven, ora c’è quella di Alexander de Large. Una frase dei Pink Floyd, una
poesia qualsiasi, sua.
Gli
dice: – Sei tu l’autore, sei quello che lo ha fatto, vero? Annuisce,
osservandola.
–
Ti ho riconosciuto dalle foto.
Silenzio,
mentre le immagini variano. Ora c’è una scimmia che legge Nietzsche. La
didascalia dice “Anche una scimmia può leggere Nietzsche, questo non significa
che possa capirlo.” E’ una citazione, ma non vogliamo chiedere troppo.
–
Lo guardo sempre quando passo. Ma non ho mai ben capito di che cosa parli.
–
Ti piace?
–
Si, ma di che cosa tratta?
Si
prende un attimo per respirare. Le dice:
–
Una persona cammina per la strada e ne incontra un’altra. La guarda e le
chiede: chi sei? Come rispondi a questa domanda? Un nome, basterà? Età,
statura, colore degli occhi e dei capelli, gusti nel vestire, tipo di musica
che ascolti, opinioni politiche sarebbero meglio? Ma come fai a spiegare
l’effetto che ti ha fatto uno spinello a tredici anni o il rumore di un parabrezza
che esplode nell’urto o il dubbio se quel gemito era piacere o dolore o lo
sguardo di rimprovero di tua madre per quel gesto o la gioia feroce nel vedere
quel sangue in terra o le vibrazioni del motore della prima motocicletta o
l’acqua salata in bocca mentre stavi affogando in mezzo metro di Mar Ligure? E
tutto questo, fosse possibile schiaffarlo tutto in due belle battute di pronto
scambio, basterebbe a dire chi sei?
Ma,
mi dirai, le persone non sono così facili da definire. Certo, le cose invece. E
invece no. Le cose hanno segni, graffi, ammaccature, visibili e invisibili.
Prendi una caffettiera. Una vecchia caffettiera. Se la osservi bene ci trovi
traccia dei rischi corsi, delle situazioni vissute, di ciò che ha servito e ciò
che ha negato. E se fosse nuova, nuova di pacca e appena uscita dalla catena di
montaggio? Illusione della nostra superbia: anche lì c’è da scavare, da vedere:
promesse, scintillanti in un futuro appena cominciato. E passato, di materie
prime nascoste in terreno fangoso o dentro sedimenti rocciosi, umidi e
profumati di terra e funghi notturni.
Non
è tanto il fatto che non sia possibile definire le cose – quanto che sia
completamente illusorio farlo. Cerchiamo soltanto nuove scatolette in cui
chiudere ciò che percepiamo perché sia gestibile. Abbiamo ovviamente scatolette
di vario genere, da quelle più specifiche e restrittive, come ad esempio
“elettrodomestico” a quelle più ampie e nebulose, come ad esempio “arte”, o
“strano”
Ma
siamo sempre a cavallo della stessa incerta barchetta: balliamo il nostro
valzer sull’orlo di un precipizio: la certezza che la realtà non è
comprensibile.
Silenzio.
–
Ora devo andare, farò tardi a cena.
–
Di questo, tratta.
–
Che cosa?
–
Della cena, che si fredda se fai tardi.
"Quando guardo nell'abisso, mi viene un sonno bestia"
STEFANO RE | Ph by Persefone Zubcic |
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