Un amore di
famiglia è uno spettacolo sul femminile. E forse sulla famiglia. Sul
fallimento della famiglia e sul valore del sangue. E' uno spettacolo
sullo sguardo. Sulla responsabilità: la responsabilità
d'essere attori, d'essere spettatori. E' uno spettacolo in cui due
donne, chiuse in una solitudine che opprime, si scoprono una nello
sguardo dell'altra, e fatti fuori tutti gli elementi del maschile,
finiscono per amarsi, per fare l'amore in scena. Provocazione? No,
evidenza e necessità. Un amore di famiglia non parla più solo di
famiglia, di amore, di sesso, cose che occupano la vita di tutti noi in
maniera preponderante: finisce col parlare di "sconfinamento", di
abbandono di un territorio. Perchè ogni territorio abitato è una storia.
Ma...
Abbiamo tutti un territorio? Abbiamo tutti la possibilità di sconfinare da quel territorio?
Abbiamo storie da raccontare? Da rappresentare? Vale la pena raccontarle? Rappresentarle. Storie private? Ma se sono private, che storie sono?
Abbiamo tutti un territorio? Abbiamo tutti la possibilità di sconfinare da quel territorio?
Abbiamo storie da raccontare? Da rappresentare? Vale la pena raccontarle? Rappresentarle. Storie private? Ma se sono private, che storie sono?
Nessuna di questa domanda mi è sorta quando ho deciso
di mettere in scena Un amore di famiglia. Non le domande, neppure le
risposte. Le risposte non le ho neppure adesso, rimangono le domande.
Allora tento di disegnare anche io un territorio, al fine unico di
poterne sconfinare.
Perché oggi, quando scrivo questa nota, penso che il motivo vero di questa messa in scena sia il tentativo di “dislocare”: porre fuori sesto, fuori asse, fuori casa, in un altrove, un insieme di segni che mi dia la potenza di un’immagine che si consolida nel corpo di due donne che finiscono col fare l’amore. E lo fanno in pubblico, perché l’amore non è un fatto privato, nonostante lo si pensi. Le storie d’amore sono un fatto privato, ma l’amore fra due donne, forse l’amore in generale, è un fatto pubblico che ci interroga sui motivi del suo esplodere e territorializzarsi, che si genera nel suo farsi paesaggio e confine.
Ma cosa vuo dire fare l'amore? E per due donne, cosa significa, in una società che si definisce libera e più spesso si scopre borghese e puritana?
Nei fatti ci sono dei segni a terra che dividono lo spazio. Lo assegnano. E ridefiniscono uno spazio vuoto, o comune, uno spazio dove si vive in assenza o ci si dissolve in presenza.
Perché oggi, quando scrivo questa nota, penso che il motivo vero di questa messa in scena sia il tentativo di “dislocare”: porre fuori sesto, fuori asse, fuori casa, in un altrove, un insieme di segni che mi dia la potenza di un’immagine che si consolida nel corpo di due donne che finiscono col fare l’amore. E lo fanno in pubblico, perché l’amore non è un fatto privato, nonostante lo si pensi. Le storie d’amore sono un fatto privato, ma l’amore fra due donne, forse l’amore in generale, è un fatto pubblico che ci interroga sui motivi del suo esplodere e territorializzarsi, che si genera nel suo farsi paesaggio e confine.
Ma cosa vuo dire fare l'amore? E per due donne, cosa significa, in una società che si definisce libera e più spesso si scopre borghese e puritana?
Nei fatti ci sono dei segni a terra che dividono lo spazio. Lo assegnano. E ridefiniscono uno spazio vuoto, o comune, uno spazio dove si vive in assenza o ci si dissolve in presenza.
C’è un paesaggio che si forma ed è il paesaggio del
divenire donna, e un paesaggio che scompare che il paesaggio maschile;
non del divenire maschio, ma del maschile. Un maschile che crea il suo
territorio con la violenza, stuprando, generando spazi inoccupati,
inoccupabili, nei quali la presenza femminile è vassallare, ancellare, e
non produce mai sortite fuori di sé, fuori dal sé.
Non mi interessano più da molto tempo queste storie di violenza. Le storie di Uomini. Mi interessa il modo in cui il femminile diviene tale, il modo in cui il femminile si afferma in una dinamica attiva non con la storia, ma con il presente. Creando uno spazio, negandolo. Dislocando il proprio corpo, che è l’unica maschera che abbiamo per parlare di anima.
Ridurre allo stato zero il maschile, creare uno spazio di divenire femmina, viverlo come se fosse storia, e abbandonarlo per un presente che nega la storia, nega la negazione, vive di un fatto nuovo a cui non sappiamo dare nome.
Non mi interessano più da molto tempo queste storie di violenza. Le storie di Uomini. Mi interessa il modo in cui il femminile diviene tale, il modo in cui il femminile si afferma in una dinamica attiva non con la storia, ma con il presente. Creando uno spazio, negandolo. Dislocando il proprio corpo, che è l’unica maschera che abbiamo per parlare di anima.
Ridurre allo stato zero il maschile, creare uno spazio di divenire femmina, viverlo come se fosse storia, e abbandonarlo per un presente che nega la storia, nega la negazione, vive di un fatto nuovo a cui non sappiamo dare nome.
Negare per trovare un altro luogo. Liberarsi.
Per poi esplodere in un atto d’amore che ci riguarda tutti, che ci
interroga tutti, che ci rende complici e partecipi. Perché essere
spettatori rideventa essere partecipi, far parte del dramma e della
storia, in modo impercettibile.
Nessuna incursione questa volta fra il pubblico. La parete che ci separa dalla scena c'è e non è violata, se non dalla sguardo.
Come vorremo, questa volta, che fosse il pubblico a violare lo spazio della scena.
Nessuna incursione questa volta fra il pubblico. La parete che ci separa dalla scena c'è e non è violata, se non dalla sguardo.
Come vorremo, questa volta, che fosse il pubblico a violare lo spazio della scena.
Un amore di famiglia,
Il nuovo spettacolo di Statale 114, con Elaine Bonsangue e Roberta Raciti.
Testo e regia di Salvo Gennuso.
Testo e regia di Salvo Gennuso.
Zo Centro Culture Contemporanee
Catania
martedì 5 e mercoledì 6 aprile 2016 ore 21.00
Catania
martedì 5 e mercoledì 6 aprile 2016 ore 21.00
Prevendita > Liveticket.it
Aiuto regia Sade Patti, scene Salvo Gennuso, regia luci Segolene Le
Contellec, direttore tecnico Aldo Ciulla, oggetti di scena Salvo
Pappalardo, foto di scena Gianluigi Primaverile, organizzazione Silvio
Parito, Centro Zo,
hanno collaborato alla realizzazione della scena Raffaella D'Amico, Silvio Zanin.
Ingresso: 13€ intero, 10€ ridotto.
hanno collaborato alla realizzazione della scena Raffaella D'Amico, Silvio Zanin.
Ingresso: 13€ intero, 10€ ridotto.
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