Non dirmi che sei stanca di vivere quando il sole è alto in cielo e il mare è calmo. Non dirmi che devo smettere di bere quando l'alcol mi accarezza la gola e scende come fosse acqua fresca. Non dirmi che lavoro troppo, non è vero. Non dire niente che è meglio, tanto non ti ascolto. Prendi il tuo cappoto di seta rosa e apri quella porta. Vai vai, vai via.
Adesso nell'intimità della mia cella posso finalmente contemplare, contemplarmi. Le ciglia sbattono così forte che posso sentirne il rumore, la mani sono radici e io le pianto per terra. Non crescerà nulla ma a me non importa nulla, quindi poco male. Un giorno di questi un mio amico mi ha detto, "quando non ti farai più domande non sarai più tu". Forse non erano proprio queste le parole, ma la sensazione, quella si. La sensazione è rimasta identica a quella sera di nebbie e schiarite.
Strano, le vene mi si ingrossano a vista d'occhio, il sangue deve uscire da qualche parte, aspetto solo di sapere da dove e nel frattempo fumo una sigaretta che il fumo è cosa vera, tangibile e maligna. A volte mi rendo conto del male, ma evidentemente un po' di male porta soddisfazioni che il bene non può capire...e viceversa. Io nel mio piccolo amo il bene e il male, i loro piaceri intimi. Mi piace l'intimità. Mi piace la mia cella stasera.
[ G. M. ]
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